Nella prima metà degli anni '80 si diceva di Robert Smith e dei componenti del gruppo di Siouxsie - ovvero The Banshees - che producevano dischi al ritmo con cui la gente normale va a pisciare. Questa colorita affermazione era dovuta al fatto che Smith, Severin, Budgie e Siouxsie stessa avevano cominciato a sfornare progetti collaterali con una frenesia non comune, sfruttando la grande conoscenza dell'ambiente discografico inglese del periodo e soprattutto la loro crescente popolarità. Niente di male, se si pensa che comunque i vari progetti riuscirono a proporre sul mercato alcuni album di livello superiore alla media, interessanti sia dal punto di vista puramente musicale, che da quello delle tendenze di allora. In particolare, nel 1983, il bassista Steve Severin e Robert Smith lavorarono insieme facendosi chiamare The Glove, in corrispondenza di una fase che vedeva i Cure stessi in momentaneo deficit di formazione e all'uscita da una crisi d'identità non da poco. Smith in quella covnlsa stagione avrebbe accompagnato in veste di chitarrista il tour di Siouxsie, restando quasi due anni a far da sostituto ufficiale: dunque la coesione di idee e di feeling con Severin era tale che produrre un disco insieme fu probabilmente l'esito di un processo naturale.
Blue Sunshine si inserisce in quel percorso di idee che già stava influenzando la produzione dei Cure, con una commistione di sonorità elettroniche, drum-machines e chitarre che ben si espresse in brani come Upstair's Room e Lets' Go To Bed. Essendo vagamente ispirato alla visione di Yellow Submarine dei Beatles (da cui il nome del duo e il logo col guanto azzurro) in stato di alterazione allucinatoria e a svariati altri film di bassa lega a loro volta ispirati al mondo degli stupefacenti, Blue Sunshine si avvale di una serie di ambientazioni musicali più originale e a tratti più bizzarra rispetto agli standard del gruppo di Smith. C'è una connotazione psichedelica rutilante e glamour molto poco imparentata con il sound degli anni '60 e semmai contaminata dal crescente uso di strumenti elettronici dei nascenti '80.
A collaborare alla realizzazione del disco i Glove chiamarono il batterista Andy Andreson (che fu poi con i Cure nell'album The Top) e la vocalist amatoriale Landray che interpretò buona parte delle canzoni dell'album. Inoltre, per la sezione d'archi del bellissimo brano Mr. Alphabet Says furono chiamate The Venomettes, quartetto di violiniste e violoncelliste dal promettente fascino, ma mai giunte agli onori della cronaca. Questa combriccola di musicisti diede vita a dieci pezzi impostati sulla traccia di un concept, intervallati e legati tra loro da inserti in sordina (come fossero provenienti da una radio) di ulteriori elaborazioni musicali e voci. Pur suonando piuttosto freschi e dinamici, i titoli di Blue Sunshine restano permeati da un senso di angoscia; e l'ascolto, a lungo andare, rivela certi sottintesi che apparentemente vengono celati dalla voce squillante e sbarazzina di Landray e dalle schitarrate di Robert Smith. Canzoni come Looking-Glass-Girl, Orgy e la stessa Mr. Aphabet Says narrano le impressioni e le suggestioni che i due autori principali ricavarono da eventi come una moria di sniffatori di colla e altre sostanze tagliate male ad un party, nonché dal loro stesso consumo/anuso notturno di acidi.
Ecco che così gli aspetti malinconici e drammatici dell'opera vengono a galla tra le righe, tra i versi psichedelici e le decorazioni della copertina, nella lunga suite strumentale di A Blues In Drag, un brano incantevole fatto di pianoforte elettrico e violini che poco ha a che vedere con la discografia dei Cure e di Siouxsie di quel periodo E poi tra le note arabeggianti e i recitativi rituali del pezzo finale, in cui la tensione si fa tangibile e ogni traccia di spensieratezza visionaria scompare.
Blue Sunshine non è un album epocale, ma è diventato un disco di culto tra gli estimatori della new wave di nicchia. Non a torto, visto che rilesse senza condizionamenti di mercato una pagina importante di cultura urbana e interpretò le nuove tendenze del pop con estrema libertà di scelta. Certo: l'impronta stilistica di Robert Smith si sente molto, ma amalgamata con il resto emerge in modo totalmente differente rispetto alle oscure trame di Pornography, ad esempio, o alle ossute melodie di Seventeen Seconds. E Blue Sunshine tutto ha tranne la volontà di uniformarsi alle logiche esistenzialiste del filone dark.

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