A Boy Named Goo rappresentò un punto di svolta per i Goo Goo Dolls.
Fu infatti l'ultimo album registrato con la collaborazione del loro primo batterista George Tutuska, e fu anche l'ultimo con la Metal Blade Records che fin dagli esordi simil punk del 1987 li aveva accompagnati.
Mi avvicinai con cautela alla band, con il timore che la loro musica si rivelasse soltanto una lagna amorosa seguita da qualche riff, ma mi sbagliai di grosso. Per grattare la superficie del loro sound, conoscerli tramite quest'opera (o la precedente, Superstar Car Wash) è indispensabile.
A Boy Named Goo racchiude infatti i testi meno romantici della loro carriera, qui concentrati sulle emozioni negative esorcizzate da Rzeznik già dalla prima traccia, Long Way Down.
Si tratta di uno stupendo album rock n roll, trascinante quanto sorprendente con una tempistica che adoro (loro elemento da non sottovalutare).
Si alternano i pezzi cantati dal già citato chitarrista a quelli del bassista Robby Takac, dalla verve punk e acida che lo fa sembrare la parte malvagia del trio (era lui in principio il leader della band).
Le 5 stelle le merita soprattutto per Naked, ballad (ma non troppo) che vale l'intero lotto.
Shots in the dark from empty guns, never heard by anyone.
Slave Girl è una cover dei Lime Spiders, ed è facile intuire chi magistralmente la interpreta, con la quantità giusta di veleno a metà strada tra il glam dei Mötley e l'attitudine dei Black Flag.
Sorprende il fatto che si alternino tra loro brani molto diversi, escludendo la noia dalla reazione che si può avere dopo l'ascolto.
Dal successivo Dizzy Up The Girl, essi cambieranno ancora la loro formula mantenendo però riconoscibile la loro dinamica e il loro stile.
Consigliato, del buon rock di classe A.
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