La storia di Detroit è legata a doppio filo all’industria automobilistica, fiore all’occhiello dell’economia del new deal (dal Dopoguerra fino all’inizio degli anni ’70), ma anche esempio lampante della fragilità del sistema economico capitalista (dalla crisi petrolifera del ’73 in poi la città diventerà sinonimo di disoccupazione e tossicodipendenza). Una città che nel tempo è sempre stata popolata da un proletariato urbano variegato, un agglomerato etnico dove tanto messicani, italiani, ebrei, quanto WASP e neri del sud degli States forzatamente si trovano a convivere. Tale incontro/scontro di culture, ha favorito la nascita di realtà musicali disparate nel corso degli anni. Se difatti pensiamo alle icone musicali della città possono indistintamente venire in mente la Motown, la scena r’n’r garage di fine anni ’60 (Stooges e MC5), la techno degli anni ’80 fino ad Eminem. E naturalmente gli odierni White Stripes, Von Bondies e Detroit Cobras, tutti impegnati a rinverdire i fasti degli anni ’60.

L’ideale anello di congiunzione fra i padri (Stooges & Co) e i figli (i sopra citati), sono sicuramente i The Gories, formazione durata l’arco di 6 anni (dall’86 al ’92), e dedita ad un r’n’r garage che definire “sporco” o “Low-Fi” risulta abbastanza eufemistico. Il disco in questione, ultimo della loro breve carriera e edito dalla Crypt Records (da sempre dedita alla riesumazione dei suoni ‘60s), ha una qualità fondamentale, ossia un’urgenza musicale primitiva, focalizzata quasi esclusivamente su quello che viene definito “groove”. Assolutamente disinteressati alla resa sonora delle loro composizioni, i The Gories cercarono di “riportare tutto a casa”, ovvero di riavvicinarsi alle radici nere della musica; tale scelta era non solo inopportuna ai fini commerciali, ma soprattutto controcorrente rispetto alla scena musicale del tempo.

Se siete dei musicisti state alla larga da questo cd, potreste provare un irrefrenabile voglia di spaccare il vostro stereo o andare a Detroit per picchiare a sangue i componenti del gruppo. Solo per fare un esempio, Maureen Tucker dei Velvet sembra il batterista dei Dream Theater in confronto a Pat dei Gories, e la chitarra può essere tranquillamente scambiata per il ronzio dell’apparecchio acustico di vostra nonna. Comunque mi sento di consigliarvi questo disco, perchè oggettivamente pieno di (vecchie) idee ma sempre buone, e perché dopo un po’ di ascolti vi troverete a canticchiare le sue melodie sghembe e approssimative. Nota biografica: dopo lo scioglimento del gruppo il cantante Mick Collins formerà i Dirtbombs (consigliatissimi) e il secondo chitarrista Dan Kroha i Demolition Doll Rods (venuti in tour in Italia con Jon Spencer nel ’97).

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