Personaggio alquanto strano e simpatico, questo Graham Bond: paffuto, baffettini e ciuffo disordinato sulla fronte. Fu uno dei cardini dell'evoluzione della musica inglese "di nicchia", prima dell'esplosione e la (ri)nascita del blues-rock, e nella sua Organizzazione militarono, in tempi diversi, individui come John McLauglin, Jon Hiseman, Jack Bruce, Ginger Baker. Insomma, al pari della Alexis Korner's Blues Incorporated e della corte di John Mayall, l'organico a marchio Graham Bond permise la formazione di gruppi storici come Cream (nel frattempo Clapton si faceva le ossa negli Yardbirds) e Colosseum, prima della loro affermazione nel progressive rock.

Questo "Live At Klooks Kleek" rappresenta la fotografia impolverata di un'epoca effimera, un 1964 sotterraneo all'ombra dell'esplosione degli angioletti Beatles e del pop tutto. Un disco blues fino al midollo, arrichito di sonorità jazz e r'n'b fradice di sudore; Bond che con la sua ugola sporca ruggisce in faccia agli spettatori (pochi), Bruce e Baker che picchiano sugli strumenti mentre un Hammond rende il tutto impastato e caldo, profondamente sincero. E' la solita carrellata di vecchi blues, da una celeberrima e abusata "Stormy Monday " (W. Dixon) ad un'altra splendida "The First Time I Met The Blues" (B. Guy).

Un disco che sta all'opposto dei live faraonici dei '70, dove l'esteriorità abbaglia lo spettatore, i virtuosismi incantano e fanno nascere i primi guitar heroes; questa raccolta di pezzi è puro istinto, pura passione puramente underground, incorniciato da una qualità sonora essenziale e da una generale atmosfera "sporca" ed informale.

Nel decennio successivo a questa esibizione al Klooks Kleek (un pub cadente attivo nei '60, teatro anche del disco di esordio di John Mayall), Bond collaborerà con la moglie realizzando un paio di LP a nome Holy Magick, scivolando rapidamente nell'eroina, nell'interesse morboso per l'occultismo e nei debiti, prima di morire in circostanze poco chiare nel 1973.

Carico i commenti...  con calma