Nel variegato panorama del progressive rock settantiano, v'è una piccola perla poco conosciuta (se non totalmente sconosciuta) che si chiama "Horizons". Gli autori sono i "The Greatest show on Earth". Nacquero nel 1968 originariamente come una band di Rhythm & Blues, ma ben presto virarono verso sonorità più tipicamente progressive. Forse il loro non sarà il più grande show sulla terra, ma ad ogni modo tale band vanta non pochi pregi.
Questo loro lavoro del 1970 può infatti vantarsi in primo luogo d'una sezione fiati non indifferente, con ben 3 musicisti (Dick Hanson, Tex Phillpots e Ian Aitchison) adibiti a tale compito, nonché un leader cantante che oltre ad essere chitarrista, sorprende per la sua abilità di flautista (Colin Horton-Jennings). Immancabili in un gruppo sinfonico sono le tastiere, qui abilmente condotte da Mick Deacon.
Questa insolita formazione che schiera dunque ben otto elementi, suona un prog sinfonico nel quale io intravedo chiare tracce di Soul e spruzzate di Jazz. Non mancano infatti le improvvisazioni, i tempi contratti, le progressioni e i repentini campi di ritmo. Il loro sound maestoso è arricchito da un robusto uso dell'organo e dei suddetti fiati, amalgamati a dovere in modo da creare uno stile molto variegato; un esempio esplicativo di ciò lo ritroviamo nella quinta traccia: "Real Cool World".
All'interno del disco si distinguono sicuramente la Suite di quasi quindici minuti che dà il nome all'album, una jam nella quale non mancano pezzi interamente strumentali, la quale rappresenta un vero e proprio manifesto musicale del gruppo (e dotata d'una genuinità che purtroppo non si ripeterà più), nonché la ballata acustica per flauto e chitarra "Again & Again", nella quale Horton-Jennings lascia la chitarra a Garth Watt-Roy per dedicarsi al flauto traverso. Il gruppo si dividerà già nel 1971, dopo soli due album, il secondo dei quali ("The Going's Easy") non riuscirà ad essere all'altezza del primo. Watt-Roy andrà poi negli East of Eden di Dave Arbus (il violinista che si prestò agli Who per "Baba O'Riley", per intenderci) mentre gli altri tentarono miglior sorte in gruppi rimasti più o meno misconosciuti.
Al di là della loro storia personale, i Greatest show On Earth grazie a questo "Horizons" sono emersi da quel calderone a volte poco prolifico che è la scena progressive minore (o "underground") dimostrando, grazie al loro sound molto curato, di possedere capacità strumentali superiori a tanti altri gruppi di diversa fortuna.
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