Un titolo ed un immagine profetici: è il 1969, il blues è morto? Hendrix è volato verso lidi sempre più avanguardistici, ma gli rimarrà poco da vivere, ed i Cream si sono separati con astio. Alla Joplin resterà un album incompleto, prima di essere sopraffatta dai vizi. Forse, in quell'anno, il suddetto genere non è del tutto spirato, bensì è tornato nell'ombra, surclassato dalle avanguardie psichedeliche e/o proto-progressive della scena rock. Anche i Groundhogs, gruppo sotterraneo della cosiddetta British Invasion, porgono le  loro condoglianze al genere. Siamo all'alba dei seventies, e Deep Purple, Zeppelin e Sabbath non possono attendere.

La musica contenuta in questo "Blues Obituary" si presenta come (appunto) un blues vagamente tinto di hard e dalle pesanti reminiscenze lisergiche (vedi la hendrixiana "Light Was The Day"), caratterizzato da un solido e prezioso lavoro di chitarra di Tony McPhee, oltre al suo timbro vocale cupo e viscerale; entrambe le caratteristiche sono riscontrabili nell'andamento secco ed ipnotico della bella "Mistreated", forse la canzone di punta dell'opera in quanto ad immediatezza. La chitarra non presenta la distorsione alla Cream, rimanendo contenuta pur nei suoi riff sporchi e graffianti, mentre la ritmica supporta le tracce con discreta fantasia.

Tutti i pezzi si mantengono su una qualità dignitosissima, ed agognabile da molti, ma, forse, manca LA composizione che da sola vale il prezzo dell'LP, e la mezz'ora buona scorre piacevolmente, senza veri e propri sussulti tali da inserire l'opera tra gli album più influenti e conosciuti dell'epoca. A metà tra gli esordi blues più acerbi ed il rock rabbioso dei successivi ("Thanks Christ For The Bomb"), "Blues Obituary" rimane molto interessante ed equilibrata nei suoi ingredienti, mostrando le sue rughe con dignità. Un'opera dove i musicisti valgono più delle canzoni stesse, dove la fantasia è libera di sperimentare senza stravolgere le basi di un genere.

Un 3,5 arrotondato con piacere.

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