Almeno fino a qualche anno fa capitando a Londra, tra le locandine delle centinaia di concerti di rock blues che tuttora i pub inglesi si ostinano a proporre nonostante l'impressionante slavina di merda che sta sommergendo la nostra amata musica, si poteva ancora notare il nome dei Groundhogs. Me lo immagino Tony McPhee, con quel suo aspetto da vecchio scaricatore di porto in uscita serale in jeans attillati e scarpette da ginnastica bianche, attaccare il jack alla sua Gibson rossa per una quarantina di persone sedute davanti all'ennesimo boccale di birra scura.
Questo signore negli anni sessanta era uno dei massimi rappresentanti del british blues e aveva come idolo John Lee Hooker tanto da mutuare il nome del gruppo da una sua canzone (il groundhog è una sorta di porco selvatico ma viene anche usato per sfottere una persona poco raccomandabile) e fare addirittura da band di supporto al grande bluesman nel tour inglese. Tra vari scioglimenti e lavori saltuari i Groundhogs si riformano come trio nel 1969, proprio quando il fenomeno del british blues sta per lasciare il posto ad un rock blues più duro e moderno e loro come risposta sfornano un album, "Blues Obituary", con in copertina il "reverendo" Tony che dà la benedizione ad una bara sorretta dai due compari in cui giace il corpo del blues pronto per il funerale!
Ma è con il successivo "Thank Christ for the Bomb" del 1970 che i Groundhogs raggiungono l'apice della loro vena espressiva. Un concept album come si usava all'epoca, ma senza quella pretenziosità di tante operazioni simili, nel quale era la guerra e le sue alienanti conseguenze ad essere messa sotto accusa già dalla copertina che vede i tre capelloni vestiti da improbabili soldati piuttosto malconci e azzoppati. Il produttore è Martin Birch che proprio quell'anno veniva dall'ottimo lavoro fatto con i Deep Purple di "In Rock" e ovviamente dona ai tre un approccio più duro di quanto erano abituati ad esprimere fino allora.
Mettiamo subito le cose in chiaro: è un grande disco che merita di essere conosciuto molto di più da parte degli appassionati del rock e voi lo siete, vero? La voce nasale di Mc Phee e la sua maestria alla chitarra dona un'armonia e una proporzione particolare all'intreccio tra le parti acustiche e quelle elettriche.
Su tutte la bellissima e lunga title track "Thank Christ for the Bomb" che nasce acustica con la voce di Tony che si lamenta della guerra manco fosse Bob Dylan fino a crescere in un maelstrom elettrico che farebbe morire d'invidia i pur bravi "rumoristi" odierni. Tony è un guitar hero e lo dimostra nell'assolo hendrixiano che sovrasta il tutto fino all'esplosione finale della... bomba!
Echi addirittura westcoast nella languida "Garden" con il bel lavoro sui tom tom della batteria di Pustelnik, gli stupendi assoli della slide fanno scivolare il brano tra i preferiti nei miei viaggi fatti senza abbandonare le pareti di casa.
Le scale di basso di Pete Cruickshank aprono "Status People" con la chitarra di Tony che sembra uscire dritta dai migliori brani di "Tommy"dei Who, con la differenza che i suoi riff sono molto più robusti di quelli di Townshend....ancora un brano superbo! La stessa "Rich Man Poor Man" è un'energica ballata che deve molto a Daltrey & Co., ma l'arpeggio di chitarra e il cantato nasale di Tony le dona qualcosa di molto più vicino ai Jethro Tull, con la solita iniezione di doppio ricostituente: brano eccezionale numero quattro! La sbuffante "Eccentric Man " riprende i quattro quarti del blues annegato in riff maestosi supportati dalla ritmica incalzante e poi il solito lancinante assolo della Gibson che prende fuoco costringendo qualche assistente di studio a sventolare un foglio di carta per raffreddarla, e di conseguenza: brano imperdibile numero cinque.
Devo proseguire? No, scopriteli da soli gli altri tesori del disco e se vi capita di passare per Londra e vedere la locandina di un concerto dei Groundhogs infilatevi in quel pub senza esitazione alcuna e portate a quarantuno il numero degli spettatori.
Porca miseria, glielo dovete!
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