Gun Club    Miami

Ognuno di noi deve combattere con i propri demoni. Il mio si chiama blues e probabilmente non riuscirò mai a sconfiggerlo. Il blues è come un'entità più grande di te che si impossessa e una volta preso non ti lascia più, poco da fare. Accidenti a me quando l'ho incontrato. Eppure il blues ha anche una sua carica, una sua forza che non è solo dolore, non è solo sofferenza ma è anche impeto, frenesia spavalda, travolgente e maligna. Il blues è anche la forza della disperazione, quando tutto è perso, si, ma nonostante ciò ti sostiene e ti anima nel profondo. Il blues è una condanna e una croce che uno si porta dietro ma non può fare a meno di averla. Il blues è anche come una tigre ferita che si muove nell'oscurità, è anche il prevalere degli istinti dionisiaci più sfrenati e impensabili in un ottica orgiastica e instancabile, è piacere puro.

Jeffrey Lee Pierce, mente e anima dei Gun Club, era uno che con il blues ci aveva a che fare, decisamente. E si, aveva i suoi demoni e fantasmi personali che si, non riuscì a sconfiggere, poco da dire. Il prezzo da pagare è stato troppo alto ma i capolavori Pierce li ha prodotti, eccome. "Miami" è il secondo lavoro dei Gun Club nel quale il gruppo e la mente che vi stava dietro prosegue inesorabilmente con la ripresa e riattualizzazione delle radici della musica americana, blues per l'appunto e country. Oscuro, morboso, claustrofobico e delirante, "Miami" è una vera opera d'arte che fonde mirabilmente urgenza dal carattere urbano, ritualismo blues e country tossico/ancestrale in una musicalità apocalittica e ancestrale. La rilettura di "Run Through The Jungle" dei Creedence Clearwater Revival è un chiaro esempio rappresentativo dell'umore delirante del disco. Un delirio che è tutto interiore, psicologico e oscuro. Pierce ha guardato nel profondo di se stesso e forse non ha trovato nulla, o forse ha semplicemente trovato uno straniero (ricordate "Stranger in my Heart" )? O forse ha conosciuto la grande menzogna (ricordate "The Lie")?

"Sleeping In The Blood City" possiede alcune reminiscenze della grinta e della maestosa disperazione del loro debutto, un uragano capace di trascinare con se tutte le angosce in un turbine di dannazione eterna e inquietudine esistenziale ma no, tanto si torna sempre lì. E' inutile. Stupenda "Watermelon Man", caratterizzata da un ritmo tribale oscuro e dannato. Più che una canzone, un rito voodoo compiuto nel deserto arido e mistico. Già il deserto interiore che in fondo molti hanno dentro l'anima e non vi è modo di trasformarlo in un'oasi rigogliosa e, molto semplicemente, bella. Che termine semplice "bella", non è così? "Carry Home" è un'altra perla dell'album, chitarre slide languide che hanno un profumo oh, così dolce da perdersi dentro, perdersi perdersi in quel dolce rifugio caldo. Come non citare poi "Mother Of Earth" dove la voce di Jeffrey Lee raggiunge uno dei suoi picchi espressivi in quella che è una dimessa ballata country  lievemente sinistra, sensibile e piena di un certo senso di sconfitta, amara e irrevocabile, come se qualcuno l'avesse tirata sopra non si sa come. Il punto più alto di disperazione è comunque ravvisabile in "Texas Serenade", accompagnata da un coro oscuro che sembra presagire sventure e maledizioni e da un modo di cantare formidabile nelle sue tonalità più alte e capaci veramente di portare fuori tutti i fantasmi, almeno per un dannato momento, si, almeno per un dannato momento.

Da sottolineare come l'approccio dei Gun Club ai generi che costituiscono, di fatto, la tradizione musicale americana, non sia certamente di tipo tradizionale. I Gun Club suonano in maniera diversa rispetto ai Lynyrd Skynyrd e ai Led Zeppelin, i quali risultano essere tra i più grandi interpreti del blues nell'ambito del rock tradizionale. E proprio qui sta il punto. I Gun Club non appartengono alla categoria del rock classico e tradizionale, ma piuttosto ad un contesto di tipo alternativo con una ripresa, netta ed evidente, dei generi tradizionali e, tratto peculiare, il loro percorso musicale traccia, in maniera indimenticabile e forse con il suo più alto picco, un vero e proprio parallelo tra elementi di ritualità, giungla metropolitana e tribalità primitiva.

Il blues è come un gelo crudele che ti fa rabbrividire,

so preachin' blues, uh uh uh, preachin blues now......

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