Hic sunt leones.
Ascoltare questo immane disco significa perdersi nella terra di nessuno degli antichi cartografi: sferragliate di basso, batteria ipercinetica, il canto di Jeffrey Lee Pierce che non si ferma mai ma sembra quasi prendere le sembianze degli spettri che evoca. Le sue corde vocali stritolano i testi, singhiozzano, succhiano ingoiano... il tutto accompagnato da dosi elevatissime di rock sulfureo.
Pierce, coi compagni di allora Ward Dotson Terry Graham e Rob Ritter, firma qui il suo capolavoro: post punk che come un cucchiaio si cala nel calderone del blues del Delta, regalandoci una miscela sonora sul punto di esplodere e che raramente sarà eguagliata. Lo stesso Lee Pierce resterà un martire del rock, scuro e sepolcrale, con la sua voce degna erede di un Jim Morrison e il volto perennemente imbronciato... un uomo che sembrava sempre sporco, sempre sul punto di far scoppiare un casino, e che ha ispirato numerosi artisti a venire: si consideri ad esempio Mark Lanegan, che nell'album "I'll Take Care Of You" rilegge in modo insolito la solenne "Carry home", colonna portante di questo disco.
Il rituale di questa danza copre scenari tipici della musica popolare nera: si possono gustare i preparativi di una messa vodoo, come si può restare soffocati dal calore e dagli insetti che "Watermelon Man" evoca. Questa è musica più nera del nero rivista e corretta dalla mente drogata e destabilizzante di un ragazzo bianco, figlio del punk e della sua rivoluzione effimera, che non pago del rock dei suoi fratelli commette peccato e si imbudella in un quartiere a luci rosse echeggiante di musica proibita, la più antica e profumata, come il seno di una bella mulatta. Infine, un incubo pieno di rami spezzati e di fango trasportato in città da un taxi lussuosissimo e tirato a lucido dove i nostri eroi, sfatti e sporchi, sniffano cocaina accarezzando le cosce lucide di quattro signorine nere e seminude, mentre la radio sbraita come un'erinni: "Like Calling Up Thunder".
Carico i commenti... con calma