Una ciofeca.

...E la recensione potrebbe tranquillamente terminare qui, ma prima è forse bene raccontare una storia, da cui trarre insegnamento. 

Era il lontano 1995 quando uscì quello che fu il canto del cigno di una delle migliori band death metal mai comparse sul pianeta: gli At The Gates. Dopodichè la band in questione si sciolse, conscia del fatto di aver dato tutto, e non poter fare uscire più niente di meglio. Fu allora che i due fratelli Anders e Jonas Bjorler, nonchè il batterista Adrian Erlandsson, decisero, all'ombra di un pioppo, di fondare una nuova band di nome "The Haunted", il cui sound si muovesse all'interno di coordinate tipicamente speed-thrash (che poi si scrive così, ma in realtà si pronuncia "Slayer").

Ed ecco che nel 1998 vide quindi la luce il primo, omonimo, full-length del gruppo, un disco di puro thrash metal "In Your Face", roba che al confronto alcune uscite della più blasonata concorrenza parevano registrazioni di fanciulli incazzati causa furto di caramelle.
Dopo l'uscita del suddetto ottimo lavoro, il batterista Erlandsson il cantante Dolving lasciarono la band, così al loro posto subentrarono altri due tizi, tra cui è doveroso menzionare il fenomenale cantante "Marco Aro". Il secondo album "Made Me Do It" e il terzo "One Kill Wonder" vennero così prodotti nel giro di tre anni, e proseguirono in bellezza il trionfale divaricamento anale cominciato dal loro predecessore.

Ma ecco che qualcosa comincia a quel punto ad incrinarsi; qualcuno - che chiameremo "la scimmia cattiva" - suggerisce ai due fratellini Bjorler che è giunto il momento di finirla, che non è più accettabile suonare quel genere, in quel modo, di questi tempi. Bisogna per forza cambiare, fare qualcosa di alternativo, per non cadere nella trappola della ripetizione di sè stessi. Il risultato di tutte queste sciagurate considerazioni è l'abbandono di "Marco Aro", il ritorno del vecchio cantante "Peter Dolving", e l'album "rEVOLVEr", che mette in mostra una prima - ancora accettabile - svolta verso sonorità proprie dell'hardcore melodico (che si scrive così, ma in realtà si pronuncia "emo"). Sonorità che verranno particolarmente accentuate nei mediocri (termine attribuibile solo in slanci di estrema bontà) "The Dead Eye" (2006), in cui tutte le canzoni cominciano per "the" (non che c'entri qualcosa, ma era bello dirlo), e "Versus" (2008).

Dopo 3 anni 3, giungiamo così finalmente al 2011 e a questo "Unseen", che però di sicuro sarebbe stato meglio non ascoltarlo, oltre che non vederlo. La situazione è quantomeno drammatica: la scimmia cattiva è riuscita infine nel suo diabolico intento, ovvero far girare completamente il boccino di tutti - loro, e le palle - tutti gli altri. Il disco è un'accozzaglia di canzonette scialbe, che vorrebbero pure essere a tratti melodiche come lo erano nei due prima (e lo sono); il problema è che a voler cercare di essere originali ad ogni costo, in questo pure le melodie non funzionano. Suonano sbagliate, stonate, fuori posto, forzate, male. Davvero, suonano così ridicolmente brutte che fanno quasi tenerezza, e del resto ancora peggio suonano le entusiastiche dichiarazioni di Dolving poco prima dell'uscita dell'album, che lo descrivevano come "epico": una faccia di bronzo che nemmeno il miglior Niccolò Ghedini.
Insomma, la sensazione è che il fondo del pozzo sia già stato qui clamorosamente toccato, ma - chissà - mai dire mai.

Morale: ognuno di noi nasce con un preciso scopo, un compito da svolgere, e quello dei fratelli Bjorler è di far fare headbanging al prossimo. Mai dar retta ai cattivi consiglieri, mai deviare dal percorso che il destino ha sempre avuto in serbo per noi fin dall'inizio. Si richia di stravolgere l'ordine naturale delle cose, il cosiddetto "cerchio della vita" - o, in inglese, "circle pit". Ma soprattutto di incidere un album che, in definitiva, è...

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