Siamo nel 2012, quando i The Heavy pubblicano il loro terzo full-lenght, "The Glorious Dead", a tre anni dall' ottimo "The House That Dirt Built" e dal discreto EP "How You Like Me Now". Questo lavoro mantiene il sound tradizionale dei The Heavy, ma con delle variazioni. Innanzitutto l' album si presenta, in alcuni punti, meno esplosivo del precedente, mentre vengono incorporati degli elementi di neo-soul, come l' uso frequente degli archi. Qui troviamo 10 canzoni belle, fresche e legate da un filo sottile l' una con le altre.
L' apertura è affidata a "Can't Play Dead", che dopo un' intro tratto dal film "The She Beast" (che dimostra l'amore di Swaby e Taylor per i vecchi film horror anni '60), parte con un rock potente e cadenzato, con il singer scatenato come non mai; la canzone popi rallenta i ritmi, con l' entrata degli archi che ripetono ossessivamente il tema iniziale fino alla fine, il che alla lunga stanca. Canzoni come "What Makes a Good Man?", degna erede di "How You Like Me Now", canzone in pieno stile rock/gospel e "Same Ol'", con un connubio tra chitarra elettrica e orchestra davvero maestoso, rappresentano le vere punte di diamante dell' album. Ma i The Heavy ci sorprendono sempre, e allora troviamo "Just My Luck", una canzone tiratissima con degli intermezzi "soft", e un finale fortissimo dove le chitarre e l' orchestra intonano una melodia che si rifà quasi alle musiche egizie. Ottima anche "Don't Say Nothing", dove troviamo Swaby in grande spolvero e una chitarra leggera e quasi pizzicata. La mia preferita però è "Curse Me Good, con una chitarra acustica allegra e spensierata, che va a formare una melodia fantastica. Non male anche la versione funky di "Big Bad Wolf", di cui era stata già pbblicata una versione in cui la melodia, invece che dai fiati, era suonata interamente dalla chitarra elettrica, nell' "How You Like Me Now" EP. Non convincono appieno la sdolcinata "Be Mine" e la stanca e lenta "The Lonesome Road". La chiusura è tutta per "Blood Dirt Love Stop", fantastica ballata in perfetto stile anni '50, con la voce di Swaby leggera e dolce come non mai e la chitarra che suona forte e decisa a rendere il tutto più rock.
In definitiva, l' album mi è piaciuto moltoe, seppur non avesse la carica di "The House That Dirt Built", si è contraddistinto per essere, a mio parere, il più vario e il più complesso della loro breve discografia. In un mondo, quello della musica, in cui l' unica vera innovazione è riportare al presente i suoni del passato, questi ragazzi si sono messi in luce per farlo meglio, forse, di chiunque altro; ed in un mondo in cui ormai è stato detto tutto, o quasi, e la scontatezza del pop la fa da padrona, loro dicono sempre la loro e sono sempre vari e originali. E, in attesa del prosssimo album - stay tuned and listen to What Makes a Good Man.
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