Di questo anglosassone complesso se ne è già parlato, e con questo disco non fanno che ribadire ciò che hanno offerto nel 2007 con l'esordio. Gli Heliocentrics: musicisti che abbracciano i formalismi della musica passata per estenderli al futuro con uno stile altamente sperimentale, àncorandosi principalmente al jazz, al funk, alla psichedelia, alla musica etnica (africana e medio-orientale), all'instrumental hip-hop, al kraut-rock. Faccio notare che l'ordine dei generi citati non è casuale, e chiudo la loro breve introduione inquadrandoli come ciò in cui spero il jazz evolva.

2013: sei anni dall'esordio, traducibili come sei anni di maturazione musicale, sei anni di collaborazioni, sei anni di live-jams. Ne esce qualcosa di assolutamente coerente con il loro primo vagito, sia nello stile che nella struttura, ma sotto tanti aspetti nettamente migliore. L'overture pone immediatamente il disco alla testa delle anomalie musicali dell'anno: una campionatura propagandistica seguita da rumorismi che sembrano strappare violentemente l'hard bop agli anni '50 per trasfigurarlo (o sfigurarlo, se volete) in un caos di distorsioni elettroniche. Il disco continua: si fa avanti una musica inspiegabile, suonata con strumenti apparentemente inspiegabili, alimentando così il carattere indecifrabile, quasi inesplicabile del lavoro. Personalmente, concepisco l'inizio del disco con un concettuale e relativamente rapido intro di sei tracce, per poi rivelarsi nella sostanza.
Superato questo concettuale intro, un'inevitabile assuefazione fa sì che la musica ad un tratto sembri evaporare, mostrando ciò che gli Heliocentrics rappresentano veramente: un vortice di ritmiche fluttuanti, talmente esasperate da occultare ogni melodia, lasciando così in preda ad un groove in esponenziale movimento, incessante, perseverante.

Reputo la copertina, così come per l'esordio, particolarmente azzeccata: un'illusione ottica volta ad esprimere l'inconsistenza cognitiva abilmente trasferita in musica. Contribuisce a quanto appena detto anche la struttura del disco: 21 tracce, con cui si va dalla durata estremamente esigua di esemplari bozzetti (e non abbozzi) di qualche secondo a vere e proprie jam di parecchi minuti, rendendo bene il concetto di continua deframmentazione e repentino assemblaggio. L'assiduo cambiamento, la mancata replica delle partiture crea una massa informe in costante trasformazione.
Musica che si sorregge in un limbo tra ciò che è concreto e ciò che è onirico. Se fosse un dipinto, indubbiamente lo classificherei come un'avanguardia, ma a fatica riuscirei ad essere più specifico sullo stile: c'è la rappresentazione sfaccettata del cubismo, come come la dinamicità del futurismo, ma anche (e soprattutto) l'impalpabilità dell'astrattismo e del surrealismo. In ogni caso, confermo una locuzione già espressa in passato: un àpeiron fatto a musica.

Le composizioni rappresentano dei veri e propri rompicapi stilistici, e nel cuore della giungla che è il disco raggiungono un'essenza quasi arcana. Gli addetti ai lavori sono sempre indubbiamente ottimi nel restaurare ciò che jazz, funk, psichedelia e quant'altro hanno già mostrato in passato, ma il valore aggiunto sta nell'originalissima sperimentazione in cui operano. Il risultato è un sofisticato collage di elementi, anche diametralmente opposti nella concezione: ora silenzio, ora rumore; ora conforto, ora inquietudine; ora in assetto, ora caotico. Tutto sempre all'insegna dell'imprevedibilità. Nell'ottenimento di un risultato del genere non si può che pensare ad un esteso ensemble, non tanto per la concezione dell'opera quanto per la sua esecuzione: sono infatti tanti (nove) e con tanti strumenti (clarinetto basso, violoncello, lira, basso elettrico, contrabbasso, kalimba, percussioni, thai guitar, flauto, sintetizzatore, violino, batteria, tastiere, pianoforte ed anche strumenti fatti appositamente a mano). La proposta è di elevata complessità, al punto che i componimenti possano risultare apparentemente illogici e caotici, ma non è realmente così.

Evitando delucidazioni varie, immaginate un composto con Bitches Brew, Endtroducing..... e Freak Out! tra i costituenti lasciato a fermentare centinaia di anni. Bene, ora dovreste avere almeno una vaga idea del disco. Meglio ancora sarebbe ascoltarlo, consci del rischio che potrebbe rimbalzarvi addosso lasciandovi assolutamente incolumi, così come potrebbe diventare una maniacale ossessione. Personalmente sarei felicissimo se le frontiere del futuro jazz puntassero molto in questa direzione, e penso che gli Heliocentrics abbiano già composto qualcosa che tra qualche anno avrà l'appellativo di capolavoro.


Miles would be proud.

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