Forse non lo sapevate ancora, ma la nostra Supercheri suona in un gruppo, gli Hi Fevers. Sono il tipico power-trio (ed è già una buona notizia, visto che 3 è il numero perfetto un po' dappertutto, nella musica e nello sport come in amore): lei è il boss, a quanto ho capito, dato che canta e suona la chitarra. Alla sezione ritmica, due ragazzi: il bassista Mic Roma e il batterista Alex.
Lo scorso Marzo registrarono questo bell'EP di spigliata musica rock senza fronzoli. Puro garage, pochi accordi e tanta grinta. La mia impressione è che gli Hifevers siano ben consapevoli dell'impossibilità di fare musica radicalmente innovativa nel 2007, disponendo della consueta strumentazione e dei consueti schemi che il rock puro, in tutte le sue incarnazioni classiche o moderne, ha provveduto a consolidare in mezzo secolo. E allora, nel terzo millennio, la differenza la fanno il carattere, la personalità, la capacità di inserirsi in una o più tradizioni rinvigorendole dall'interno, evitando la squallida e meccanica riproposizione di un passato glorioso nonché quell'attitudine diffusa un po' ovunque di emulare i propri idoli, sdraiandosi servilmente al cospetto dei loro dictat. E allora ecco i mille mediocri epigoni ora dei Fugazi, ora dei Nirvana, ora dei Bad Religion, ora dei Velvet Underground, ora dei Cure and so on... tutti presi, non potendo in alcun modo recuperarne la sostanza (cioè il contenuto, il significato, il messaggio, la ragion d'essere, il "qualcosa da dire"), a riproporre il più fedelmente possibile solamente la forma, l'aspetto, l'abito che rivestiva le invettive, i lamenti e le confessioni dei suddetti gruppi.
Niente di tutto ciò nei pavesi Hi Fevers, che omaggiano 20 anni di rock alternativo in maniera sincera e appassionata, lontani da ogni citazionismo gratuito e da ogni lezioso calligrafismo. E così le sincopi di "High Fever" riesumano vigorosamente Jane's Addiction e Mudhoney, mentre l'indolente stoner di "Leech" è una colata lavica che pietrifica chiunque ne venga travolto. Bastano un paio di accordi, il suono più sporco possibile, niente assoloni (a che servono in questo contesto?). Il momento più trascinante è probabilmente "Drive My Dreams", forte della bella impostazione vocalica di Supercheri, mentre la sua chitarra macina instancabilmente accordi su accordi e un irresistibile groove di basso fa il resto. L'immaginario è dei più desertici, Arizona per intenderci, non così lontana dalla West-Coast evocata dalle due squassanti scorribande surf, la paludosa "Michael Knight" e soprattutto "Assassins", dove l'impeto prevale sulla precisione esecutiva. Completa il disco l'uncinante "Girl Plus", con la nostra eroina nuovamente presa a sputare tonsille.
Quest'estate gli Hi Fevers partiranno alla conquista di Bochum e dei Paesi Bassi, nel regno della techno: riusciranno i tulipani a trascurare per un attimo campionamenti e batterie elettroniche, per riavvicinarsi al buon vecchio rock? Mi auguro di sì, e credo onestamente che umili band di provincia come questa possano far riscoprire il piacere delle piccole cose, quelle di tutti i giorni, quelle che non stancano mai.
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