Open the curtains. Singing birds tell me "tear the buildings down."
Sarebbe tutto più facile se i testi di Christian Holden fossero meno personali e meno in linea con la mia giovinezza. Sarebbe tutto più facile se, ascoltando il nuovo album degli Hotelier non mi sia reso conto di quanto possano essere simili un paese sperduto nelle montagne come il mio e una cittadina in Massachusetts chiamata Worcester.
Chirstian Holden è nato e cresciuto lì, a pochi chilometri da Boston. E posso immaginarmelo lì, nella sua cameretta, seduto sulla moquette macchiata di birra e Coca-Cola, a scrivere le sue canzoni sulle pagine di un quaderno. Un flusso di parole scritte fitte fitte, una attaccata all'altra, per dare libero sfogo a tutto il suo malessere interiore. "Home, Like Noplace Is There" è il secondo disco degli Hotelier, la sua band, ed è proprio un esplosione di emozioni, parole su parole che si incatenano, si avviluppano alle chitarre hardcore/emo e alle melodie graffianti. Ascolti i nove brani della tracklist e ritorni a quando eri un ragazzino frustrato e arrabbiato, chiuso in una scatola e impossibilitato ad uscirne.
Ora che ho ventisette anni, le cose attorno a me sono cambiate, il mio modo di vedere il mondo è cambiato. Ma ascoltare un disco come quello degli Hotelier mi fa tornare alla mente che forse, quando avevo quindici anni ed ero incazzato con il mondo intero, non avevo del tutto torto. "Your Deep Rest" ti costringe a fare i conti con il passato. Nel brano Holden parla di un suo amico che non è riuscito ad aiutare. Un amico che odiava sè stesso così tanto da decidere di mollare tutto, lasciare una lettera all'unica persona che gli è stata vicina e farla finita. Sono frasi dolorose, impregnate di rimpianti e paura, che si alternano a una struggente e potentissima melodia hardcore.
Ed è l'hardcore/punk/emo il tessuto sul quale sono cuciti i testi di questo prezioso album. La bellissima "Among The Wildflowers" è un palese tributo a Pianos Becomes The Teeth e ai Touché Amoré, le band che hanno maggiormente ispirato gli Hotelier. Si parla di confusione sessuale in "Life In Drag", brano spaccaossa che narra la storia di un ragazzo che lotta per la sua identità e per la sua dignità. E in "Housebroken" Holden si paragona ad un cane legato a una corta catena di ferro, costretto a fare avanti e indietro nel piccolo giardino sul retro di casa senza poter reagire, senza poter sentirsi libero. Voglia di libertà, di spezzare le catene e di gridare al mondo il proprio pensiero. Questo è il filo conduttore dei nove brani dell'album. Nove brani che sembrano nove racconti, nove capitoli di un romanzo. Nove perle che fanno di questo disco degli Hotelier una delle uscite più intense e ispirate di quest'anno.
Remember me for me, I need to set my spirit free.
E io, mentre sto qua a gambe incrociate sul letto a scrivere una recensione su questo album, non posso fare a meno di tornare con i ricordi a dieci, dodici anni fa. Anch'io avevo voglia di sputare fuori le mie idee, di mostrare a tutti le mie ragioni, le mie frustrazioni e la mia rabbia. Anch'io mi sentivo un pesce fuor d'acqua, in un paese bigotto e mentalmente fermo agli anni sessanta. Sentivo di non essere parte della comunità, sentivo che fuori da quell'inutile paese c'era altro che mi aspettava e forse, qualcun'altro che mi avrebbe capito e considerato. Christian Holden, con le sue canzoni, è riuscito a farsi sentire, a dare un senso al flusso di emozioni che lo hanno portato a creare un disco come questo.
"Dendron" è l'apice dell'album, la spettacolare dimostrazione della bravura degli Hotelier. Un inno all'adolescenza, un inno a quegli anni così strani, così devastanti eppure così incredibilmente potenti. Un ritornello gridato, sputato direttamente dal cuore che non può far altro che emozionare.
Forse alla mia età un disco del genere non dovrebbe sconvolgermi così tanto. Forse alla mia età l'adolescenza dovrebbe solo essere un nostalgico e lontano ricordo di un periodo fantastico ma difficile. "Home, Like Noplace Is There" ha però il potere di attirarmi come una calamita, di farmi sentire di nuovo un quindicenne e di invidiare un po' chi quindicenne lo è oggi. Gli Hotelier sono riusciti a spiattellare tutta la loro potenza in un disco sublime, poetico e stupefacente. Un disco non innovativo, non sperimentale, non complicato ma dannatamente sentimentale. Un disco che, all'interno del mondo hardcore punk o emocore o chiamatelo-come-vi-pare, riesce a farsi spazio tra i grandi nomi. E se gli American Football rimangono ancora i maestri di questo genere e il loro (purtroppo) unico album rimane ancora inarrivabile e punto di riferimento per tutte le altre band, gli Hotelier stavolta hanno centrato il bersaglio e (quasi) raggiunto la perfezione.
Wish I was there to say goodbye when you went away. Wish I was home, oh but noplace was there.
Carico i commenti... con calma