Venuti alla luce in quel di Sheffield nel '78, gli Human League esordirono all'insegna di influenze industrial, il suono che dettava legge a quel tempo nella loro città. Dopo un debut album tanto ambizioso quanto superfluo, incisero altri 2 dischi all'insegna di sperimentazioni elettroniche di chiara matrice techno-robotica, Reproduction e Travelogue, quest' ultimo con leggere aperture soul. Ben presto però Philip Oakey, "padrone" del progetto, capì che per avere un'ampia visibilità bisognava orientarsi verso un formato pop e verso la melodia.
Liquidati gli altri due tastieristi, Ian Marsh e Martyn Ware, rivoluzionò la formazione che adesso era diventata un quintetto. Fu così che nel 1981 i nuovi Human League pubblicarono questo disco, che fissò definitivamente lo standard al quale si dovevano riferire tutte le aspiranti band elettro-pop. Dare rappresenta infatti un disco generazionale, capostipite di tutta una serie di imitatori. Indipendentemente dal suo valore artistico, ha segnato un'epoca, un suono, che sono immediatamente identificabili al primo ascolto. Che piaccia o meno è un altro discorso, ma ha comunque influito. In un genere "pop-olare", ma lo ha fatto.

Musica da lungomare, da ascoltare al vecchio e mitico juke box mentre ci si rinfresca con l'altrettanto mitico magic-cola Eldorado, tra una partita a Pac-man e una di biliardino. Insomma, è uno dei pochi dischi che rivela un momento preciso, un tempo che fu.
"The Things That Dream Are Made Of", è un esempio chiarissimo delle melodie estive di quest'album, con un giro di synth e un canto distaccato come voleva la moda, così come il solare ritornello di "Open Your Heart", o il romanticismo di "Darkness".
La cadenza trascinante di "Do Or Die" ci introduce nelle piste da ballo con le ingenui luce colorate dell'epoca, mentre "Seconds" si leva su un lamento epico di synth.
"Love Action (I Believe In You)" è un altro pezzo da disco-club, che prelude all'ultimo brano, quella "Don't You Want Me" che tutti bene o male abbiamo sentito una volta nella nostra vita. Sicuramente la canzone più famosa degli Human League, che con quella voce al miele femminile e quel ritornello ultra-orecchiabile rappresentò un inno degli anni '80.

Non stiamo parlando di musica per orecchie fini, questo è fuor di dubbio, ma ogni tanto è bello lasciarsi trasportare da un po' di nostalgia, da un po' di piacevole leggerezza.
Per chi è rimasto vittima degli anni '80.

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