Dopo il capolavoro “Reproduction” ci si aspettava davvero di più dagli Human League che invece, a nemmeno un anno di distanza, tirano fuori dal cilindro un album come che stà giusto a metà strada tra il suo illustre predecessore e l’onesto pop di “Dare!” senza sapere bene da che parte stare. Si tratta infatti di un lavoro che non è né carne né pesce né sperimentale né pop ma una confusa via di mezzo.
Simbolo di tale regressione è il brano “Being boiled”, tanto splendidamente essenziale ed austero nella versione apparsa su singolo, quanto appesantito e inutilmente sovra-prodotto nella versione presente in quest’album infestata da effetti sonori e arrangiamenti gratuiti.
Le brutte sorprese non finiscono però qui, ma con le mediocri melodie e la sopraccitata discutibile produzione di “Only after dark”, “Crow and a baby”, “The touchables”, “Gordon’s gin” e “W.X.J.L. tonight”, “Marianne”, “Boys and girls”, “Cruel” e la pessima sperimentazione senza capo nè coda di “Dreams of leaving”.
Gli unici motivi d’interesse dell’album sono rappresentati da “The black hit of space”, piccolo capolavoro fantascientifico all’altezza dei brani di “Reproduction”, gli strumentali “Dancevision” e “Tom Baker” e la curiosa doppia cover in medley “Rock’n’roll/Night clubbing” nella cui prima parte c’è una divertente rilettura del brano di Gary Glitter e nella seconda un’interpretazione di un pezzo di Iggy Pop della quale i Depeche Mode negli anni novanta faranno tesoro.
Non bastano però alcuni validi episodi a salvare un album poco convinto come questo.
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