New York, 1968...
Cominciamo con Simon...
Chi è Simon?
Beh, Simon è il signor nessuno del giro delle orchestrine, uno che si veste come un barbone e tiene sempre gli occhi bassi.
Quando chiedi di lui tutti alzano le spalle.
Gli piacciono gli pseudonimi, tanto per dire, (nomignoli come Bruno Wolfe, Hugh Bialy, Rex Rakish, Wolfgang Vattelapesca) ed è stato per un po' con quei tizi, quelli della melanzana...
“Faresti meglio a stare attento a quella melanzana che ha mangiato Chicago, perché se avesse fame potrebbe mangiare anche la tua città”...
Ma, soprattutto, il nostro Simon è uno che canta e suona alla grande. Il soffio della sua armonica è una specie di graffio. La voce fluttua “stridula e sanguinante” e l'anima, l'anima “da dentro gli striscia fuori”.
Poi, certo, è uno strano. E se c'è una cosa che gli strani non dovrebbero mai fare è smettere di esserlo. E questo lo dico perché Simon è già da un po' che non pratica più.
Pensate che adesso fa il maitre in un ristorante alla moda e, cavolo, dovreste vederlo, non sembra lui.
E' così sicuro di sé, così efficiente.
E poi quella specie di maschera, quel sorriso da piazzista. Ma non è questo il punto.
Il punto è che fuori dal ristorante di Simon ci sono quelli dell'Incredible String Band. E c'è anche Joe Boyd. Ed è stato proprio Joe Boyd a scegliere di andare a mangiare in quel posto. Beh, se ne pentirà...
Se ne pentirà per tutta la vita.
In ogni caso adesso dobbiamo fare un passo indietro.
…
Scozia, anni 60...
Edimburgo è una città piena di poeti .“Otto di loro vivono in una chiatta sul canale, dieci nel seminterrato sotto il negozio di animali”. E tutti gli altri? Tutti gli altri chissà...
Edimburgo è anche una città piena di folk e il folk mica è revival. Il folk è un fiore selvaggio che si interstardisce a spuntare sempre. Ottimo.
Del resto anche la giovinezza è un fiore selvaggio. Tutti quei tizi vestiti di velluto, tutta quell'energia. Prendi il club per esempio, entri e sei avvolto in una nuvola di fumo, tra odore di caffè, pancetta, fagioli.
Poi la segatura per terra, le bottiglie vuote, i narghilè. Le ragazze lunari che ti accompagnano al piano di sopra, spariscono per un attimo, poi tornano completamente nude con due pinte in mano.
E che dire di quei due tipi bizzarri? Clive, beatnick arcigno, mente sottile, anima nomade e Robin, una specie di mago dal pesante accento scozzese.
Il primo ha cominciato a suonare per le strade di Parigi e adesso vive in una tenda, il secondo pesca le canzoni direttamente dai sogni.
La loro musica, secondo la definizione di Joe Boyd, è un viaggio andata e ritorno dalla Scozia agli Appalachi passando per Marocco e Bulgaria.
Un bel giorno, “trascinato da un vento da slitta”, al club arriva Mike. E' un tipo tutto risate e pacche sulle spalle e il suo ruolo, almeno all'inizio, è quello dell'apprendista esoterico. Semola con Merlino, fate conto.
Poi, una volta arruolato dai beatnick alieni, si arriva all'incisione del primo album, l'omonimo “The incredible string band”.
Prodotto da Joe Boyd, il disco alterna momenti di folk sanguigno e ipnotiche epifanie alla Davy Graham. Ecco quindi il violino gitano, il banjo scintillante, i cerchi concentrici, il tocco serpentino.
“Abbiamo incontrato un merlo magico e da allora ci lasciamo dietro pezzi di noi stessi che, se non guardi troppo da vicino, possono persino sembrar canzoni”, così Mike nelle note di copertina.
E comunque Clive è sfuggente, distratto. Ci sono segnali, forse una smazzata di tarocchi, forse una frase sentita per caso. Così, da eterna anima nomade, lascia il gruppo e parte per l'Afghanistan.
Anche Robin si mette in viaggio, destinazione Marocco. Sta via sei mesi e quasi muore di fame. Al ritorno porta con sé dei bellissimi strumenti esotici. Quando Mike, ovvero l'eterno Semola, ne ascolta il suono capisce che dopo essere stato pesce, adesso è il momento di diventar scoiattolo. L'apprendistato non è ancora finito.
Poi, quando infine giunge il tempo, “il folle s'avventura dove persino gli angeli hanno paura di camminare”. Un luogo che è una una specie di terra di mezzo tra tradizione, sentimento naif e flusso beat alla Keruoac.
Non solo, ci si mette pure l'acido. E “il liuto diventa un gatto”, il gatto una fanciulla e la fanciulla una nuvola.
Il risultato finale, l'album “The 5000 spirits or the layers of the onion”, lascia senza fiato. I nostri hanno trovato una “Painting Box”, una scatola di colori. E sono colori accesi, squillanti, un soffio di scintille nell'aria. E, oltre ai colori, i sapori. Oltre ai sapori il profumo.
Tutto si muove tra grazia ruspante e selvatica bellezza. E, su una musica che guizza come un pesce e fugge come una lucertola, le voci sgranano un irreale rosario stonato.
Si intravede il fantasma di Dylan, ovvero un disturbante calabrone su un prato fiorito. E, insieme al calabrone, non possono mancare le farfalle.
Farfalle psych? Si, farfalle psych...
Per il successivo, “The hangman's beautiful daughter” la “Painting Box” sceglie colori diversi, certi verdi notturni, certe sfumature terrose. Col prato che diventa bosco, la filastrocca rito e i raggi di sole stelle.
Il cappello della strega vola via, si trasforma in un pipistrello, poi in un corvo. In quale altro modo dire il susseguirsi d'incanti e il volare a seconda?
Voci fatate/sgraziate, cori misterico alieni, suoni incantati in preda a una vibrazione drogatissima. Non è più folk, non è più psichedelia, non è più musica del mondo e chissà cosa diavolo è.
“Spirits” e “Hangman”, sono due capolavori immani.
Opposti, eppure accomunati da un quid indefinibile, insieme sono una specie di quadratura del cerchio. E “se i pavoni parlano del grigio”, le pozzanghere riflettono i colori.
Del resto quando lo strano è più vero del vero l'eccentrico mostra la sua natura spontanea.
...
Avevamo lasciato Simon intento alle due mansioni di direttore di sala. Beh, è ancora li.
Fuori quelli dell'Incredible stanno ancora firmando autografi. Così il primo a entrare è Joe Boyd e Joe Boyd conosce tutti, persino Simon. Stenta a riconoscerlo però...
“Ma è davvero lui?”
Dopo un po' entrano Mick e Robin con le fidanzate Rose e Licorice. Le due ragazze, una solare e l'altra sfuggente, sono da poco entrate in pianta stabile nel gruppo. Suonicchiano con dilettantesca grazia e hanno vocette quasi alla Yoko. I fans le adorano.
Si siedono per mangiare e Joe racconta di Simon: la faccenda degli pseudonimi, il suo aspetto di un tempo, l'incredibile cambiamento. Il racconto è così curioso che i quattro vogliono conoscerlo.
Così lui si avvicina e, dopo aver sfoderato il suo miglior sorriso da piazzista, si lancia in un super classico, ovvero il discorso del convertito...
“Non ero niente e adesso sono tutto”.
Il fatto è che il buon Simon è diventato un adepto della chiesa di Scientology, un orrendo mix di pessima fantascienza, culto del successo, positività posticcia, misticismo da Rotary club.
Compito di ogni buon scientologista è quello di far proseliti. E in questo Simon è piuttosto in gamba. Solo che dai, non sembra possibile passare da William Blake a Ron Hubbard. Eppure è proprio quello che accade.
Alla fine del discorso del convertito Mike, Robin, Rose e Licorice sono sostanzialmente fottuti.
Sarà un caso, ma è da questo preciso momento che la musica dell'Incredible String Band cessa di essere magica. I nostri smetteranno di bere e di drogarsi, diventeranno super carini, super sorridenti, ma addio bellezza selvaggia, addio incanto, addio spontaneità.
...
“Wee Tam & The Big Huge”, il canto del cigno un attimo prima di Scientology.
Si tratta in realtà di due album diversi incisi a pochissimi mesi di distanza. All'epoca uscirono sia separatamente, sia insieme.
Il primo è rilassato e sognante, il secondo più visionario e oscuro. Entrambi spiccano per una inaspettata semplicità e per la rinuncia a gran parte della strumentazione esoterica. Oramai solo il sitar incrocia il mistero celtico.
“Wee Tam”sarebbe il ragazzo, “Big Huge” il mistero del cosmo. Una fricchettonata mica da ridere, di quelle che scatenano le risatine dei cattivi. Ma chi se ne frega dei cattivi, noi siamo buoni..
Per “Wee Tam” dalla “Painting box” escono i colori più tenui. Il bianco ammorbidisce un giallo infantile. Un pulviscolo assonnato stempera l'antica energia. Del resto quando senti tutte le cose senti il silenzio. “Insegnami il fluire”, dice la canzone dell'acqua.
Tutto quel che era dispari adesso è pari, non preoccupatevi, l'otto è magico quanto il sette.
Ecco allora i “Canti dell'innocenza” di William Blake, ecco un pianissimo di sogni in riva al fiume, tendi l'orecchio, potrebbero sfuggirti.
Pochi gli accenni al vecchio quid “Incredible”, un violino cajun, qualche guizzo di Mike. Per il resto un po' di Donovan, un po' di folk senza tempo, un po' di vivificante ingenuità.
All'opposto “Big Huge” vaga tra blu profondi, tarocchi notturni. ipnosi trascendente.
Lunghe ballate che passo passo van verso le stelle, voci rabdomantiche, il sitar e l'acustica qualità dinamica l'un dell'altro.
Il bardo è qui e “cammina sulla sabbia non ancora calpestata”. Di nuovo e per sempre la quadratura del cerchio. O forse solo Semola e Merlino insieme.
Si fottano Scientology e tutti i scientologisti...
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