I primi Jam di “In The City” (1977) erano un gruppo dall’estetica Mod influenzato dal Punk, quindi ancora alla ricerca di una vera e propria attitudine, “In The City” suonava ancora acerbo anche se i grandi pezzi non mancavano, ma già dal capolavoro “All Mod Cons” le arie d’austerity d’oltremanica gettarono sopra la band quell’ombra scura comune a tutta la scena post punk.
L’ultimo capolavoro dei The Jam è questo "Sound Affects" (1980), dal suono più deliziosamente easy e raffinato rispetto a tre anni prima, disco dotato di una gamma di colori e di timbriche pressoché infinita. Il poetico sarcasmo di Weller fa il resto infarcendo di testi al vetriolo undici pezzi di un'urgenza creativa eruttante. Va detto che Weller alla sfrontatezza punk preferiva i Kinks e la my generation degli Who, ciò nonostante l’odore del post punk in questi 35 minuti è più acuto di ogni altra cosa. “Pretty Green” è Power pop pneumatico e spezzato,“Monday” crea un feeling particolare con l’ambiente e con l’ascoltatore grazie al verso ripetitivo Oh baby I'm dreaming of Monday, Oh baby will I see you again
, le sfumature drammatiche lievemente accentuate del pezzo sono altresì intriganti e stimolano a mettere in repeat 3 o 4 o 10 volte il pezzo. La scarica pregna di palpitante seduzione di "But I'm Different Now", con la chitarra di Weller più che mai coincisa e gli interventi strumentali sempre precisi ed accorti dimostrano la brillantezza e la geometria sopraffina di questo sfavillante scandire. Il momento più da cardiopalma arriva con “Set The House Ablaze”, e soffermiamoci qualche riga in piu dinanzi a questo monumento: inginocchiamoci dinanzi al suo immane incipit di chitarra, la marzialità iniziale implode negli la-la contagiosi e nei fischiettii inquietanti sotto l’incedere dirompente della batteria, trovando poi l’indispensabile via d’uscita nel ritornello, dopodiché si affonda nell’opprimente cupezza del finale dove ogni cosa sale di giri e chiama a raccolta il caos tanto da far vacillare la storica compostezza di Weller che preso da un soprassalto di tensione emotiva ripete urlando "La-la-la" completamente e deleteriamente allucinato per sempre nei secoli, fino a che i fischi da treno a vapore del dopo bomba ammutoliscono: MARASMA.
E con questo si chiude la grandiosa quaterna iniziale del disco. “Start" ruba il riff a "Taxman" dei Beatles e lo sfracella su una chitarra in levare, glorificandosi nel contrasto fra la grinta funk della sezione ritmica e le echeggianti prelibatezza beat vocalistiche del trio. Memorabile “That’s Entertainment”, dispiegata su un soffice tappeto di chitarra acustica. Tra un vibrante inno mod come “Boy About Town” e un instant classic come “Dream Time” ci accorgiamo della strepitosa detersione sonora di cui è dotato il lavoro, una pulizia di incastri da dare le vertigini, come in quella piccola meraviglia luminosa di “The Man In The Corner Shop”, e quel memorabile “lalalalala” così pregno di dolce nostalgia che ne fanno la melodia più cristallina della carriera del trio. La spigolosa “Scrapt Away” chiude il disco, tutta giocata sulla ritmica nervosa e petulante, la sezione ritmica porta via tutto facendo una cosa semplicissima e allo stesso tempo immensa: tengono il tempo.
Questo disco così laccato e modernista ha della moda revival solo l’abbigliamento d’epoca fatto di camicie bianche dal colletto ampio Burberry’s, cravatte di seta Resikeio, giacche a 3 bottoni Bill Blass, abiti a doppio petto a 6 bottoni Christian Dior e scarpe stringate di pelle traforata Allen-Admonds.
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