Melodia Pop semplice e sdolcinata sommersa da un’alta marea di feedback. Questa era la ricetta sonora di Psychocandy (1985), epocale album di esordio degli scozzesi Jesus & Mary Chain. Il successivo Darklands (1987) spiazzò tutti, poiché i fratelli Reid avevano cambiato gli ingredienti della loro caramella psicotica, che conservava l’aroma oscuro, onirico/allucinato e sapidamente melodico ma non era più ricoperta dalla melassa del feedback che arricchiva ed inevitabilmente copriva gli altri sapori. Con Automatic (1989), da teppisti del Rock’n’roll quali erano, Gesù e Maria Catena, decisero ancora una volta di non riscaldare la minestra, bensì di offrire un pietanza diversa che manteneva invariata la base melodica, ma induriva il suono ricorrendo, stavolta, a chitarre granitiche ed al drumming ossessivo della drum machine, spostandosi verso sapori hard-pop-punk.
dopo una benefica pausa di riflessione, Jim e William Reid, a tre anni dall’album precedente, affrontano il nuovo decennio con Honey’s Dead (1992) mescolando nuovamente le carte o meglio gli ingredienti dei dischi precedenti e confezionando il loro miglior disco dai tempi di Psychocandy.
In apparenza, non sembrerebbero esserci molte differenze tra Honey's e i suoi predecessori. Eppure esso rivela sottili diversità e progressi evolutivi che lo rendono un punto fermo della discografia dei Jesus And Mary Chain. Innanzitutto, è stata dismessa quasi del tutto la batteria elettronica, sostituita da Steve Monti, batterista dei Curve, il quale conferisce alle canzoni una senso di urgenza e di varietà, aggiungendo un tocco di Madchester sound che si adatta perfettamente a Gesù E Maria Catena. Ma ciò che si nota è, soprattutto, che i fratelli Reid hanno realizzato un raccolta di canzoni coerente, trovando finalmente il perfetto equilibrio tra furia esplosiva e melodia, tra precisione di esecuzione e creatività. I testi risultano immediati ed al livello dei momenti migliori del passato. Basti pensare alla brillante ed arroventata apertura di "Reverence", primo singolo estratto, in cui Jim Reid canta beffardo, "Voglio morire proprio come Gesù Cristo".
Honey's Dead rappresenta, dunque, la sintesi dei precedenti sforzi della band. È ballabile come Automatic, indossa con eleganza la sensibilità pop-psichedelica di Darklands e segna anche il ritorno del rumore bianco della chitarra di Psychocandy, risultando più versatile del pur insuperabile esordio. Tuttavia, i Jesus And Mary Chain, pur giocando a combinare diversamente i pezzi del loro puzzle sonoro, continuano a pescare a piene mani da quel suono primigenio, figlio degli Stooges e soprattutto dei Velvet Underground, con l’aggiunta di un notevole gusto melodico in pieno stile sixties, guardando tanto ai Beach Boys ed alle Shangri-Las quanto ai Rolling Stones. Ma nel cocktail ad alta gradazione alcolica di Gesù e Maria Catena troviamo anche l’oscurità e la desolazione dei Suicide e dei Joy Division ed il punk dei Ramones, ma se i punkers americani trasformavano le melodie pop velocizzandole al fulmicotone, gli scozzesi le trasfigurano usando il rumore piuttosto che la velocità.
Honey's Dead è un album solidissimo di una band notoriamente instabile, in cui spiccano immediatamente la già citata “Reverence”, “Far Gone and Out” dotata di ritmi e melodia immediati ed avvincenti, la delicata ed introspettiva “Almost Gold", la sferragliante “Sugar Ray”, "Catchfire" con le sue chitarre magistralmente stratificate che la rendono una delle canzoni più psichedeliche del loro repertorio, "Good for My Soul", ballata che puzza di Velvet Underground e "I Can't Get Enough" che potrebbe essere una canzone dei Beatles se i baronetti avessero usato dosi massicce di distorsione e feedback. Ma tutti gli altri brani non sono da meno. In altre parole, le canzoni di Honey’s non indicano la strada verso nuovi orizzonti, ma fissano uno standard qualitativo sorprendentemente elevato, fondendo più generi in un disco emozionante, spavaldo ed edonista. Chitarre monocordi e sfocate che stridono su melodie pop, malinconia romantica e odio per se stessi, torpore alcolico e letargia shoegaze, euforia tossica ed un paio di Ray-Ban. Tutto ciò è Honey's Dead. Tutto ciò sono i Jesus And Mary Chain.
Agosto 1986. Reduce dall’esame di maturità, partii con tre amici alla volta della perfida Albione per il mio primo viaggio “adulto”. Zaino, Inter-Rail, tessera della Youth Hostels Association, un po’ di soldi in tasca. Londra, concerti, Marquee Club, One Hundred Club, birre, Scotch, pub, British Museum, pub, Big Ben, pub, Buckingham Palace, cambio della guardia, pub, ecc.. Poi la provincia inglese, Bath, Stonehenge, Oxford. Una sera, nella hall dell’ostello di Stratford-upon-Avon, luogo di nascita di tale William Shakespeare, dei ragazzi scozzesi con uno Sharp enorme (o li ricordate oppure non li avete mai visti) iniziarono a diffondere un suono che aveva qualcosa di metallurgico, sembrava che qualcuno stesse cantando in sordina sul ronzio prodotto da qualche grosso macchinario industriale. Quella fu la prima volta che ascoltai i Jesus And Mary Chain. Si trattava di “Taste The Floor”, terza traccia di Psychocandy. E quel maledetto ronzio continua a perseguitarmi ancora oggi.
Per fortuna.
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