Calde sabbie del Texas
David Yow è perennemente malato di sporcizia, la sporcizia che affigge questo ragazzo è l’uomo e tutte le sue ammacature, anche il chitarrista Denison deve averne avuto piene le scatole del buon senso comune e della buoncostume, reduci come sono dal vomitoso capolavoro "Goat" ci riprovano e se ne vengono fuori con quest’altro fuoco creativo più duro e sconquassante rispetto all’altra per l’appunto pietra angolare goat, e Denison si dimostra per quello che è: uno dei più innovativi e geniali seviziatori delle sei corde proveniente dall’ underground piu rancido.
Yow non sa cantare, sappiatelo, ma è l’unico modo per cantare quello che canta, canta di feci, di scarichi industriali, della mediocrità dei fluidi corporei, di come l’uomo non possa sentirsi Dio per colpa del basso ventre. Un martirio di stadiazioni, un corollario di PHmetrie, ecco cosa è questo disco.
"Boilermaker", l’hardcore ormai nel 1993 è caduto sotto le frammentazioni del post rock, è spezzettato per cui spezzato ne risulta il canto. Il singolare urlo nasale di Yow su "Gladiator" è sostenuto da un riff basso che colpisce con tutto il suo serbatoio di scorie come una mazza allo stomaco, scatti nervosi di una mente davvero sull’orlo del collasso psichico, è spasmodico deragliamento, è miscela tremenda. I Jesus Lizard sono epici in un modo che Steve Albini per scelta metalinguistica non è mai stato, il loro è un hardcore che incede devastante e termina la sua corsa devastato.
"Whirl" è un carcinoma gastrico: collage di turbine-rumore.
Chi sono i Jesus Lizard? E come può una cascata di post-feci maleodoranti generare epos? Ne avrete una chiara risposta in "Slave Ship", uno dei pezzi che il sottoscritto colloca tra le prime cinque apocalissi sonore della storia del rock: alzate il volume a manetta, spalancate le finestre, munitevi di "air guitar", denudatevi e mostrate a voi stessi le vostre "grazie" mentre Denison s’auto celebra tramite un lungo prodigioso granitico viperide che s’aggroviglia su se stesso e sulle mazzate di cassa di McNeilly, con una simile musica di sottofondo, chi non "SA" si liqueferà con la propria villica dabbenaggine dinanzia al vostro essere monade, e per quattro titanici minuti e 15 secondi sentitevi un Faust goethiano al di sopra del giudizio, sentitevi come Alex Trocchi mentre si inietta il siero resuscita vivi, mandate a farsi fottere lo spirito storico e l’ontologia.
Nell’insidiosa "Perk" Sims, Denison, Kimball, McNeilly sono assassini su sedie a rotelle, assediati dagli spiriti delle leggende di quel substrato del midwest degli states, ne rincorrono i propositi mettendo in musica le abominazioni Humwawa il cui volto è una massa di budella che viaggia su un sussurrante vento del sud, signore delle febbri e delle pestilenze. "Puss" è drum-beat spastico è ancora budella straziata, garage core truculento, lo sbudellamento Big Black/Rapeman/Shellac acido è nei Jesus Lizard dotato di una propulsione molto più rock e sanguigna rispetto alla fredda elettronica di Albini.
"Zachariah" è invocazione da seduta spiritica tutto giocato sulla medianità strumentale prodotta dalle violente dissonanze controllate di sua maestà Denison ed è di un incedere tragico e paranoico che sfiora il rituale macabro, degno delle cerimonie voodoo sudiste Gelal e Lilit, vivide visitazioni nel letto dei malcapitati nei loro riposi.
In congiunture di pace lo spirito guerriero si scaglia contro se stesso, chi lo fa seviziando il proprio io, chi mettendo su i Jesus Lizard.
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