Ormai al quarto album il trio australiano capitanato da John Butler, dalle inconfondibili sonorità che fondono folk, rock, reggae e musica tribale, prosegue con continuità un'evoluzione artistica non troppo positiva. Partito dalla musica carnale e spontanea del suo primo "John Butler" (contenente capolavori come la divina "Ocean"), l'eccentrico chitarrista e cantante si allontana sempre più da quel tipo di composizione diretta (quasi improvvisazione) per avvicinarsi a forme, duole dirlo, più adatte al mercato, cosa che fatta da un chitarrista sempre critico verso stili di vita legati al denaro fa storcere il naso. Così la durata dei pezzi si stringe e con ciò molto tempo viene tolto agli estatici voli improvvisati della chitarra di John, che da soli potevano valere gli album precedenti e che sono ciò in cui davvero egli eccelle. In compenso aumentano melodie ben definite e strutture precise che tolgono al suono del trio la spontaneità: proprio ciò che rendeva grandi i primi album. Ma passiamo alle canzoni.
La partenza è buona: sebbene la fattura sia molto vendibile (tempi limitati, poche parti strumentali e ritornelli morto orecchiabili) i primi 5 pezzi sono ispirati e suonano molto freschi, con punte di qualità quali la coinvolgente "Funky Tonight" e la sognante "Caroline" e ottime trovate come lo scratch in "Daniella" , in un equilibrio riuscito tra il facile all'ascolto e l'originale. Il groove del trio è come al solito micidiale e il suo sound inconfondibile. E' con "Used to Get High" che si registra il primo segno di cedimento: il brano è troppo facile e ovvio. Ultimo lampo di genio dell'opera è "Gov Did Nothin'", in cui dopo una prima metà cantata completamente trascurabile si ha finalmente una sezione strumentale degna di questo nome, dove al meraviglioso e intensissimo assolo di John segue un finale dominato dai fiati, inaspettato ed estremamente piacevole. Poi il crollo è definitivo. I pezzi si seguono l'un l'altro praticamente inutili, troppo brevi perchè il leader possa prendere il volo e troppo farciti di melodie scontate e ritornelli ripetuti in modo esagerato, sebbene sempre suonati con maestria e personalità. In questo mare di riempitivi si salva solo la emozionante "Losing You", pezzo acustico in duetto con la cantante Mama Kin, nientemeno che la moglie di John. Insomma, il Trio non ha mai avuto l'intento di creare qualcosa di nuovo se non un sound mai sentito prima, ma la continua riproposizione di questo come unico elemento denotabile non è sufficiente, soprattutto se privato della naturalezza che gli dava davvero senso.
Se si è arrivati qui dopo l'ascolto dei prodotti precedenti, un po' si soffre nell'ascoltare questo album, perchè John Butler era (anche se più agli inizi) un musicista così sincero e diretto, come la natura a cui è (o forse era?) tanto legato, che sembra di aver perso un amico. Anzi, in questo senso, un altro amico, che sta perdendo se stesso e quindi anche l'ascoltatore alla ricerca dell'approvazione di un mercato dominato da valori che pure continua a criticare. "Grand National", in definitiva, può essere un album interessante per chi non ha mai sentito il trio in precedenza, ma consiglio piuttosto l'ascolto dei decisamente migliori due prodotti precedenti (soprattutto "Three").
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