I Killers, quartetto originario di Las Vegas esploso nel 2004 col debutto 'Hot Fuss', sono stati definiti da alcuni “il migliore gruppo inglese proveniente dagli Stati Uniti”. L’apparente contraddizione si risolve nella scelta, da parte del gruppo guidato dal cantante e tastierista Brandon Flowers, di affidarsi a sonorità moderne ma indissolubilmente legate a quelle degli anni ottanta.
La presenza dietro il mixer di Alan Moulder e Flood – già al lavoro con Smashing Pumpkins, Depeche Mode e U2 – tradisce subito la malcelata volontà dei nostri di realizzare ad ogni costo un capolavoro. La prima traccia, "Sam’s Town", è l’anello di congiunzione tra il passato e il futuro dei The Killers: non a caso, subito dopo un’apertura segnata da archi e sintetizzatori, la chitarra di Dave Keuning si farà sempre più strada sfociando, dopo un anonimo interludio per pianoforte (Enterlude), nel riff del primo singolo "When You Were Young". Alcuni brani (Bling e Uncle Johnny) strizzano malamente l’occhio agli U2, ma Flowers non ha né la credibilità né l’estensione vocale di Bono. "For Reasons Unknown" è una gradevole canzoncina dove stavolta il cantante dei Killers fa il verso a Robert Smith dei Cure.
"Read My Mind", una versione più dilatata del loro vecchio successo "Mr. Brightside", fino al molesto assolo di chitarra finale è l’episodio più felice incontrato nella prima parte del disco. A pensarci bene, dopo "Read My Mind", non accade null’altro di rilevante. Si potrebbero salvare i fiati e le tastiere di Bones, ma solo perché almeno in questo caso i Killers hanno lavorato per sottrazione: niente cori inopportuni (My List, Exitlude) o imbarazzanti scopiazzature di Springsteen (The River Is Wild).
"Sam’s Town" è un passo falso, da qualunque punto di visto lo si analizzi; i testi lasciano a desiderare e la musica da spensierata si è fatta pretenziosa e ridondante. Una totale debacle.
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