“Phobia” è l’ultimo album in studio dei fratelli Davies, uscito nel marzo del 1993. Passata la sbornia creativa dei sessanta i nostri ritrovarono la retta via alla fine dei 70, proponendo il loro sound tinteggiato di un hard-rock “moderato” e infarcendo il tutto con un pizzico di elettronica. Questa china creativa si ritrova in album come “Give The People What They Want” e “State Of Confusion”, ma l’epilogo di carriera fu proprio “Phobia”.L’album vendette pochissimo facendo solo una breve comparsata oltre il 150imo posto di Billboard e fu in pratica la pietra tombale del gruppo. Giunti a quel punto della carriera i fratelli Davies, che erano sempre più litigiosi ed in contrasto tra loro, si videro anche scaricati dalla casa discografica e decisero di sciogliere la band. Io dico meglio così, la tempistica è stata perfetta. Vena creativa oramai appassita ma ultimo album non disprezzabile. Insomma un bel canto del cigno in piena regola. Una chiusura con stile che dovrebbe essere presa ad esempio da vecchie carcasse ancora in circolazione, che sculettano sul palco a 73 anni e suonano con eterna sigaretta in bocca e cappotto leopardato, cosi senza fare nomi eh…Ma credo sia utile far capire innanzitutto: come suona quest’album? Quale strada sonora hanno preso i Kinks nel 1993? Diciamo che questo “Phobia” ricalca quanto detto sopra: ritroviamo di base il loro sound “storico“, ma meno cabaret-garage e con un pizzico di energia rock in più e un ottimo lavoro di produzione. Insomma fuori dalle mode come sempre, ma allo stesso tempo modernizzati con discrezione. L’utilizzo dell’elettronica è molto limitato, in controtendenza con album quali “World Of Mouth” o “Give The People What They Want”…ma là eravamo ancora nel pieno degli anni ottanta.

Una volta nel lettore l’impostazione del disco è subito chiara: la scaletta sfodera brani rock e ballad praticamente in egual misura. Dopo il brevissimo “Opening” si parte con "Wall of Fire" un rokketone dall’incedere pesante e un po’ prevedibile,senza infamia e senza lode. Dello stesso genere ma molto meglio riuscite sono la già citata “Phobia” un tipico hard-rock alla Kinks con melodie efficaci e cambi di atmosfera e cori in profusione, la rauca "Drift Away" e la grintose "Babies" e "Over the Edge" dove sembra di tornare indietro di almeno 25 anni e sentire I kinks più classici ed il loro ritmo incalzante. Tra il discreto ed il buone sono le ballate "Only a Dream" malinconica e dal leggero sapore beatlesiano e "The Informer" sulla stessa falsariga; forse anche un pò meglio é "Still Searching", una semi-ballata mid tempo riflessivo e dal testo dolce-amaro. Ma il brano di punta è "Don't"che è relativamente famosa e loro ultimo brano abbastanza noto. Mi ricordo di averla sentita spesso alla radio all’epoca. Ben costruita e dalla melodia azzeccata. Piuttosto piatte e senza picchi sono "It's Alright (Don't Think About It)" un hard rock puro, quasi hair-metal, aggressiva e seriosa ma un pò piatta, "Somebody Stole My Car" superflua e tirata per i capelli e "Scattered" altro brano di troppo, un pò banalotta e telefonata. Ma per fortuna l’album chiude più che dignitosamente con la ottima "Did Ya" dal loro sound tipico. Il canto mi ricorda vagamente certo modo beffardo di cantare di Bob Dylan. Da segnalare per ultimo l’estraniata "Close to the Wire" un brano di rock desertico di stampo USA e abbastanza cupo, con chitarra in evidenza. La versione in cd con il brano extra “Did Ya” (che usci inizialmente solo come singolo) dura ben 71 minuti. Ora…va bene che fa sempre piacere una canzone in più che una in meno parlando di Kinks, ma a mio personalissimo parere si poteva evitare di inserire qualche brano simil- rokkettaro e almeno una in meno tra le varie ballad presenti le quali, pur buone, danno un po’ tutte il senso di essere dei cloni di una stessa madre.

Le mie considerazioni: lungi da ma fare del revisionismo, ma vi dico subito che una chance a questo lavoro io gliela do. Non siamo ai livelli di lavori come “FaceTo Face”, “Lola”o altri ben noti, ma questo platter si ritaglia un suo spazio di nicchia ben preciso. E purtroppo vedo che spesso sui siti specializzati più che stroncato è proprio…..trascurato. Ed invece è un lavoro dignitosissimo che meriterebbe di essere citato ogni tanto. Qui il songwriting a mio avviso è sempre di livello medio-buono. Se devo scegliere una ciofeca degli ultimi 10 anni di carriera dei Kinks prendo senza dubbio “Think Visual” che suona come se i quattro giocassero a fare se stessi in versione hair-metal radiofonico. Un disco che definirei plasticoso e pacchianotto.Diciamo che “Phobia” è un album forse troppo lungo e senza grandi guizzi ma allo stesso tempo solido e di qualità mediamente buona e comunque qualche impennata quà e là è ben presente. Soprattutto mostra ancora quelli che sono sempre stati i punti di forza della band: belle melodie, buon gusto compositivo e i tipici testi oscillanti tra il sardonico-sociale e il disilluso, con l’aggiunta di un pizzico di introspezione.

Nel complesso a mio avviso si assicura le tre stelle piene. Ma sarebbero tre e mezzo.

Piccolo amarcord personale. Quando cominciai a interessarmi alla musica dei Kinks era stato cronologicamente circa un anno o due dopo l’uscita di questo album, verso il 1994-95. Ovviamente cominciai dal principio della loro discografia e snobbai le ultime uscite: mi procurai in breve tempo parecchi loro lavori “storici” dei sixties che apprezzai notevolmente ma non mi spinsi mai ad indagare gli ultimi anni della loro attività discografica. Però paradossalmente mi ricordo che attendevo con impazienza l’uscita del nuovo album, cioè del seguito di “Phobia” (che non cagavo minimamente) ma quando alla fine del 1996 venni a sapere dello scioglimento del gruppo ci rimasi di sasso. Allora, per una sorta di processo mentale, cominciai a “cristallizzare” il tutto e considerare “storica” anche roba come “Think Visual” e “UK Jive” che all’epoca erano ancora lavori anagraficamente abbastanza freschi e recenti. Cominciai così la rincorsa alla discografia minore che mi portò qualche tempo dopo all’acquisto di questo lavoro, acquisto del quale non posso dire di essermi pentito.

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