Forse è solo mentre sudi copiosamente, quando senti il tessuto adiposo immediatamente sotto la cute diventare liquido, quando sei sfiancato dal lavoro sui fianchi dello scirocco e guardi fuori dalla finestra per cercare del verde con gli occhi ma trovi solo secchezza e brullità, che puoi entrare davvero nel vivo di questo album. Un album che saprà sicuramente riscaldare anche l'inverno più piovoso e dilatato (o dilaniato?) con tanta malinconia che tenderà pian piano ad assopirsi e a sfumare come i migliori ricordi. Quelli che poi non te li ricordi più e diventano sensazioni di vissuto. La cosa migliore per me.
Se c'è qualche materano che conosce questo album, provasse a farsi il flash di vestirsi con panni invernali di colore nero e di ascoltarne i brani alle 14.30 di un qualsiasi pomeriggio di agosto nel punto più basso dei sassi: anime e spiritelli evocati dai racconti della tradizione uscirebbero, traslucidi, dalle porte delle abitazioni per una danza del fuoco destinata a quei turisti che vogliono vedere. Non i sassi in sé né altro, ma l'aura che, immanente, avvolge paesaggi non corrotti e per questo difficili da intendere davvero.
L'Inghilterra regala storicamente situazioni del genere, di gruppi che iniziano la loro attività sotto la pelle di città più o meno grandi, nei locali interrati, davanti a poca gente fumata e bevuta che comincia a crederci e a martellare. Parte il processo virale, oggi sostenuto dai social media, ed ecco che tra tante promesse, di cui alcune anche buone ma cinicamente tenute fuori dal destino à la roulette russa, emerge quella che diventa fenomenologia di massa. E questa band è venuta fuori dal parterre di speranzosi musicisti albionici per acclamazione popolare. La fama li ha preceduti. Lo stuolo di estimatori ce l'avevano già prima di questo debutto pieno, grazie al peso (massimo o leggero, dipende dai punti di vista), di un ep che mi ha incantato come poche altre produzioni musicali nelle calende della mia vita.
Si sono fatti attendere per due anni, ho bramato il momento dell'uscita. Anzi, direi che lo abbiamo sofferto proprio in tanti. Ed ora che è uscito, chissà, non ho sentito nè letto molto. Una incongruenza e una sproporzione di giri e rigiri mediatici che non lo so. Forse siamo rimasti tutti attoniti con la cuffia del supporto digitale conficcata nell'orecchio che perde sangue, con il disco infilato in un lettore cd che ha smesso di suonare ma non ti restituisce più niente, con la testina per il vinile che continua a fare scintille e creare caldo. Un caldo surreale. Un caldo che mi fa pensare ai liquidi. E i liquidi in genere mi fanno pensare alla frescura. Non lo volevo dire ma lo dico: magma.
Shoegaze e psichedelia vanno d'accordo ma non bisogna fare confusione. O meglio, certi musicisti è meglio che la facciano perché riescono a preparare cocktail dei due combustibili puri perfetti, da ingurgitati flambé per sognare ad occhi aperti e con lo stomaco inutilizzabile. Mi ricordo di certi periodi in cui pesavo un cazzo. Altri gruppi invece si bruciano durante la preparazione e non ci riescono. Altri ancora, invece, vengono fraintesi da orecchie ignoranti. Fanno rock psichedelico e dicono che è shoegaze, fanno shoegaze e dicono che è rock psichedelico. La giusta misura, l'equilibrio nelle proporzioni, secondo me è stato raggiunto da pochi. Ed oggi come oggi solo dai Koolaid Electric Company, alfieri di un male di vivere che prova, però, a porre rimedio all'assenza di luce, ingegnandosi nella lavorazione artigianale di un fluido scottante e viscoso, lievemente luminescente. E' un po' come quando hai gli spasmi o non so se vi è mai capitato di avere la febbre così alta da delirare.
Fa caldo, sudo, ho momenti lucidi e altri meno, in cui scrivo queste quattro note sparse su un disco che magari diventerà il mio preferito dell'anno. Ci sto ragionando su. Intanto ascoltatelo. E fatevi qualche bagno di sole che poi l'inverno è lungo.
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