Il fattore umano non è mai stato dei più favorevoli all’approccio coi Lemonheads e col piacione Evan Dando. La “faccia presentabile del grunge”, sguardo da bravo ragazzo che faceva palpitare il cuore delle indie-rockers di mezzo mondo e intrigava pure le Signore che leggevano le sue gesta nei rotocalchi rosa (del resto in questo disco c’è pure la cover di “Mrs. Robinson”...), fidanzatosi con tutto il fidanzabile (da Winona Ryder alla sua bassista Juliana Hatfield, e pure Courtney Love fece elegantemente sapere di esserci andata a letto), inopinatamente caduto in disgrazia dopo la fine della fiera alternative-MTV, tanto da essere costretto a fare il ballerino scemo (tipo Bez degli Happy Mondays) ai concerti degli Oasis per recuperare un minimo di visibilità. Altresì Evan è stato anche un grandissimo songwriter, e di ciò ci preme parlare. Se è cronaca di questi giorni il ritorno sulle scene proprio dei Lemonheads, la mente non può però non tornare al disco migliore di Dando, curiosamente ancora non recensito qui su Debaser.
“It’s a shame about a Ray” è un prodigioso condensato di college rock, una felice istantanea che cattura il gruppo nella fase di passaggio dall’apprendistato in zona Husker du nella fiorente scena della loro Boston (con dischi già notevoli come “Lovey”) al periodo delle carinerie buone per Dawson creek alla “Into Your Arms” e “If I Could Talk I’d Tell You” che avrebbero caratterizzato l’agonia creativa delle teste di limone alla metà del decennio scorso.
Tra questi solchi, in nemmeno trenta minuti, si trovano i crismi di un piccolo miracolo: un lavoro in cui confluiscono, con freschezza e creatività, solari melodie folk del nume tutelare Gram Parsons, detriti chitarristici mouldiani e folgoranti intuizioni jangle pop.
Pezzi come “Rockin’ Stroll”, “Rudderless” o “Alison Is Starting To Happen” sono emblematici in tal senso, con la loro furia ingabbiata in un pathos da cameretta. Gli apici dell’album sono però “Confetti”, che suona come il Neil Young di “Harvest” scortecciato dai fratelli Ramone, la title track con i suoi tenui acquerelli intimisti, l’avvolgente litania “My Drug Buddy”, intarsiata da un divino organo e dal controcanto femminile della bella Juliana e la canzone-da-falò-sulla-spiaggia “Hannah & Gaby”, con i suoi soffici aromi roots.
Dando conferiva un notevole valore aggiunto alle gemme di “It’s a Shame About Ray” con la sua voce calda e profonda, apparentemente distaccata mentre sgranava il rosario del buon college-rocker (innocue storie di noia, cuori spezzati e droga nei quartieri residenziali middle-class, e siparietti buoni per Friends come nella zuccherosa "Kitchen"), ma sempre viva e coinvolgente. Di questa arte si sono trovate tracce nell’ottimo – benché dai più ignorato – debutto solista “Baby I’m Bored”, e in fondo, speriamo che qualche squisito confetto pop il bel Evan lo produca ancora. Nonostante, all’epoca, parteggiassimo per Eddie Vedder, le sue camicie stazzonate, i suoi capelli unti e i vari Jeremy.
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