Michael Moynihan è un personaggio schivo, non ama la luce dei riflettori, non è solito esporsi inutilmente, per questo le poche volte che si è fatto vivo ha saputo stupire, letteralmente strabiliare ogni appassionato che si rispetti di sonorità industriali, neo-folk e non solo.

Sorta di Re Mida dell'Apocalisse, nel tempo è riuscito a guadagnarsi lo status di uomo-garanzia al 100%, e questo con un solo album ufficiale (l'imperdibile "The Gospel Of Inhumanity"), poche altre uscite a nome Blood Axis e sporadiche collaborazioni (Boyd Rice & Friends, Les Joyaux de la Princesse, Fire + Ice, In Gowan Ring, Witch-Hunt le più note).

Questa volta Moynihan sembra invece aver toppato, toppato alla grande: non tanto per il risicato quanto insignificante contributo diretto che può aver fornito ai fini della gestazione di quest'album, ma per essersi fatto garante di un progetto deludente, peggio ancora: trascurabile, trascurabilissimo.

Parliamo dei Lindbergh Baby di Scott Broderick, giovane cantautore statunitense dedito ad un anonimo country-rock che poco ha in comune con il folk apocalittico che potremmo aspettarci dato il pigmalione che si trova alle spalle: non basteranno il violino della pur sempre eccellente Annabel Lee (compagna di Moynihan), né l'opera di mixaggio di Robert Ferbrache (altro pilastro fondante dei Blood Axis) e la fisarmonica, il tambureggiare in sottofondo dello stesso Moynihan, per innalzare ad una scarsa sufficienza questo non esaltante debutto. Che, chiariamolo, prim'ancora di essere un brutto lavoro (che in realtà non è), ha il difetto di essere inutile. Inutile soprattutto per gli amanti del country, che certamente potranno soddisfare le loro rurali e desertiche voglie altrove, rivolgendosi a ben altri autori. Ma inutile anche per gli estimatori del folk apocalittico, che non sapranno proprio cosa combinare (io un'idea ce l'avrei) con questo dischetto, dato che con il loro genere poco o nulla c'azzecca.

Uscito nel 2007, "Hoodwinked" è l'opera prima di questo piccolo musicista che la label Fals Flag descrive come fautore di una sorta di "Psichoactive Folklore", infelice miscuglio di folk, country e gothic. Gli otto pezzi in verità scorrono nell'anonimato più assoluto, fra uno sbadiglio e gli sprazzi di nervosismo sottocutaneo provocati dalla sensazione imperante del "già stra-sentito", tanto che al termine dell'ascolto non si capisce se gli sparuti 29 minuti di durata dell'album siano pochi o troppi. Pochi perché un bicchiere d'aria risulterebbe più sostanzioso; troppi perché più s'invecchia e più non bisogna disdegnare la singola mezz'ora che ci viene per grazia concessa, poiché ogni mezz'ora è preziosa e non bisogna buttarla al vento (tanto per usare un eufomismo).  

Più che altro a stuccare è il rantolo monotono di Broderick, che tanto ricorda il Mascis dei Dinosaur JR. Ma un Mascis basta ed avanza nella storia del rock: e se per il sottoscritto arrivare al termine di un album del Piccolo Dinosauro è già un'impresa, figuratevi quant'è dura sorbirsi le vocali strascicate e mal masticate del più squallido dei suoi emuli. 

Dell'intera opera potremmo salvare giusto un paio di pezzi: “Cassilda's Song” si apre con la lettura di Robert A. Lang della Diciasettesima Chiave Econiana di LaVey; e se come scelta ci pare alquanto fuori luogo (considerato che la musica richiama cactus, polvere e coyote piuttosto che incenso e chiese sconsacrate), alla fin fine questo incipit costituisce pur sempre la trovata più originale del disco. Ed è tutto dire. Il country satanico (e filo-nazista...) di Broderick ha nel singolo frangente il pregio di richiamare (molto alla lontana) certe cose dei Current 93 degli anni novanta (scusa Tibet se nomino il tuo nome invano!), riconducendo finalmente le atmosfere dell'album all'ingannevole inquietante copertina. La voce di Broderick si fa qui maggiormente ispirata ed evocativa, l'ipnotizzante giro di chitarra incanta pur raschiando il fondo del barile apocalittico. Segue un altro pezzo salvabile: la movimentata “Media Boss”, una vispa cavalcata che riesce a vivacizzare una situazione alquanto stagnante, un paesaggio desolato e desolante costellato da mielose lagne countrieggianti di una banalità disarmante, qua e là ringalluzzite dalla chitarra elettrica di Herr Kammerer e dall'ugola fatata della pur brava Amber Rae ai controcanti.

Per la cronaca, il monicker della band si dovrebbe rifare ad un noto fatto di cronaca del 1932: il rapimento e l'uccisione insensata da parte di uno squilibrato di Charles Lindbergh Junior, figlio primogenito di Charles Lindbergh, l'aviatore americano passato alla storia nel 1927 per aver per primo sorvolato l'atlantico da New York a Parigi senza mai fare scalo. Lindbergh, in verità, è stato anche accusato di nutrire simpatie naziste (evviva!), ricevette direttamente dal Fuhrer la Croce di Servizio dell'Ordine dell'Aquila (una medaglia d'oro con quattro piccole svastiche, onorificenza concessa agli stranieri per i servizi prestati al Terzo Reich) e seguì con grande rispetto il potenziarsi della Germania di Hitler, mentre la moglie Anne Morrow Lindbergh pubblicò "The Wave Of The Future", definito poi "la bibbia di ogni nazista americano" (davvero vivi complimenti!).

Ecco: una ragione in più per ignorare questa squallida uscita.

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