L'hard rock a stelle e strisce della fine degli anni sessanta... e chi se lo ricorda? Impegnati come siamo a glorificare le gesta degli innumerevoli gruppi d'Albione che governeranno il mondo musicale del rock duro, alla fine ci rendiamo conto che riduciamo la cerchia di quelli d'oltreoceano ai soliti quattro o cinque nomi, gli Amboy Dukes, i Blue Cheer, i Moving Sidewalks, gli MC5....

I Litter sono tra questi, ma purtoppo sono stati colpevolmente dimenticati. Partiti da Minneapolis come gruppo beat influenzato dalle formazioni britanniche quali Who e Yardbirds, nel 1967 sfoderarono un gran disco, "Distorsions", che si distingueva per la innovativa attitudine hard ad interpretare i classici inglesi e terminava con una feroce versione di "I'm a man" affogata in un'orgia di feedback. In seguito, come altri gruppi di quel periodo di fine decennio, anche i Litter si diressero verso un approccio ancora più tosto con un nuovo chitarrista solista (Ray Melina) e un nuovo cantante (Mark Gallagher) più adatti alle sonorità heavy e nel 1969 produssero il loro terzo album.

"Emerge" è un grande disco di hard rock ingiustamente sottovalutato, i Litter non fanno come altre band USA dell'epoca che dilatano il sound verso sonorità psichedeliche, ma vanno diritti allo scopo con pezzi incisivi di una qualità tale da far rimpiangere la breve durata di tre minuti.

L'apertura con "Journeys" rimane forse ancorata a certe cose del passato prossimo (ditemi se non ricorda gli Other Half, altri misconosciuti dell'epoca) , ma l'arroganza con cui i cinque affrontano la materia non lascia dubbi sul resto del disco. E così vere chicche hard come "Feelings", "Blue Ice", "Little Red Book" (stupenda!) mettono in risalto l'originale lavoro dei due chitarristi e la chiara e potente voce alla Jack Bruce di Gallagher, caratterizzata da un'espressione carica di violenza mai fine a se stessa. Nei pezzi "lenti" il gruppo sfodera delle gemme che mettono i brividi: "Breakfast at Gardenson's" è puro zucchero filato apposta per le nostre orecchie dalla chitarra fuzz di Melina, "Silly People"è incredibilmente sospesa tra il blues e il jazz con tanto di vocalese che doppia la chitarra!

Sui due episodi più lunghi c'è da soffermarsi. Uno è la conclusiva "Future of the Past" che ha un titolo premonitore del passo in avanti verso le sonorità hard-blues anni '70 tipicamente inglesi basate su canzoni della durata maggiore (ben dodici minuti) con un lungo assolo della batteria di Tom Murray. L'altro è la cover di "For What It's Worth" di Stephen Stills, l'incedere è quello classico westcoastiano ma, ogni volta che il ritornello innesta la quarta, la voce graffia e le chitarre mordono, lasciano mille segni sul nostro volto ma a chi non piace un po' di dolore mentre si sta godendo? E qui si gode tanto, ragazzi....

Forse lo ritenete un disco troppo vecchio per farci l'amore? Ricordatevi che nel rock le differenze d'età non esistono.

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