Una figura mitica, senza luogo né tempo, non una persona, ma una voce solenne, che canta storie passate, d’altri tempi, che profumano di leggenda, melodie, arie che da qualche parte, chissà dove hai già ascoltato, evocano ricordi ormai remoti, di sogni sfumati, dimenticati…

Un Cantautore… Michael Krassner è l’anima, il cuore e il cervello dietro a due importanti progetti di fine secolo/inizio millennio; quel semisconosciuto Boxhead Ensemble che ha riunito artisti del calibro di Dirty Three, Jeff Tweedy (mente dei Wilco), Gastr Del Sol per una strana musica da colonna sonora di documentari mai visti o forse di vecchi film muti di inizio Novecento; e questi Lofty Pillars con i quali la grazia, la raffinatezza, la malinconia decadente di questo grande, grande cantautore è riuscita a sbocciare completamente, nella sua struggente bellezza…

Le sue composizioni sono classici già alla nascita senza il verdetto del tempo, perché dentro portano una secolare tradizione, talvolta da canzone popolare americana, talvolta da austera musica da camera, sempre con una classe ed una carica emotiva impressionanti…

Musicalmente è come se la Grande Tradizione del Dylan di 'Desire' (i sette minuti di “Three Men”), di Blonde On Blonde, del primo Cohen, del più “spirituale” Cave (quello di “Good Son”) fossero rivisitati alla luce delle nuove esperienze anni Novanta, dai Red House Painters agli American Music Club e ai Dirty Three…

E aspetto assolutamente essenziale per la magia, l’alchimia di questo disco sono gli arrangiamenti che dipingono e ricamano, trasportando le poesie di Krassner in un passato indefinito, un passato che potrebbe trovarsi benissimo nello stesso Cafè da Belle Epoque dove languida e timida risuona la musica della epica, indimenticabile (per me) Penguin Cafè Orchestra… Infatti non una chitarra elettrica ma un vecchio pianoforte impolverato, viole e violoncelli e corni inglesi e il suo, profondo, stupendo, toccante, basso, disilluso, triste sussurro…

Capolavoro inafferrabile…

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