Non si sopravvive agli anni Ottanta, c'è poco da fare. Bene o male è questo che vogliono ricordarci i Lord Weird Slough Feg, Sloug Feg per gli amici. Formatisi in Pennsylvania all'inizio degli anni Novanta, sembra quasi che si siano dati la missione di riportare il più puro hard/heavy ottantiano ai suoi massimi splendori. Guidati da sempre dall'inossidabile Mike Scalzi, uno che, a giudicare dalla voce, deve essere cresciuto a pane e Manilla Road, da ormai quindici anni buoni se ne escono con una spaventosa regolarità con un disco ogni due anni, anno più anno meno, in cui ribadiscono, casomai ce ne fosse bisogno, le "regole" dell'heavy metal più puro ed incontaminato.

Imparata bene la lezione di Iron Maiden e Thin Lizzy, con le due chitarre sempre pronte a rincorrersi, ed una sezione ritmica rocciosa, da anni se ne vanno su e giù per gli Stati Uniti, e ogni tanto pure per l'Europa, con un repertorio che, per gli argomenti trattati, ha un potenziale "nerd" devastante: miti celti, fantascienza, giochi di ruolo, il tutto accompagnato da illustrazioni che spesso sembrano appena uscite da un fumetto fantasy degli anni Settanta. Gli Slough Feg, va detto, di per sè non inventano nulla, ma la loro forte personalità riesce a salvarli dal baratro dei mille gruppi clone: quali siano le influenze è chiaro sin dai primi ascolti, ma grazie a Dio non siamo di fronte all'ennessima bruttissima copia degli Helloween dei primi tre album, con ritornelli da cartone giapponese e batteria "ad elicottero". Se ci pensa è paradossale: fissati fino alla nausea col metal degli anni Ottanta e...nati nel 1990! Fuori tempo massimo per natura. Perché a sentirli c'è davvero da chiedersi se si tratti di qualche gruppetto di quarantenni nostalgici (cosa che forse sono anche) o di qualche "gruppo di culto" semi-clandestino degli anni Ottanta, di qualche ristampa nota solo ai feticisti più sfegatati: ad ascoltare un disco a caso della loro nutrita discografia si direbbe che, se proprio vogliamo esagerare, siamo alla presenza di qualche chicca per collezionisti targata...1986, mese più mese meno. Bombastiche produzioni digitali? E cosa sono? Scalzi e soci si beano nel dorato regno dell'analogico, poche storie. Strumenti bene in evidenza, il basso c'è e si sente, la batteria fa il suo dovere mostrando che si può avere ritmo anche se non hai un centometristra dietro le pelli, si attacca il jack e via.

L'intro, un paio di minuti, fa subito capire di che pasta sono fatti i nostri, prima di introdurci alla bella "Tiger! Tiger!", con le due chitarre che prendono a piene mani dagli anni Settanta, e che presenta il protagonista del disco, Hardworlder, "l'abitante di un mondo difficile" (Tonino Carotone anyone?), uomo ormai abituato a qualsiasi forma di peripezia, tra astronavi in fiamme e fughe verso pianeti lontani. Altro pezzo davvero degno di nota è il cadenzato "Sea Wolf", che dimostra come si possa essere suggestivi anche senza schiacciare sull'acceleratore, con le sue chitarre acustiche e la sempre evocatica voce di Scalzi. Da segnalare anche le interessanti riproposizione di "Dearg Doom" degli Horslips e di "Street Jammer" dei Manilla Road, che rendono chiari quali siano i pallini dei quattro americani. Ad esclusione di una paio di episodi, comunque, si nota come non solo non ci sia un brano che spicca sugli altri, essendo tutti di buona qualcità, ma anche come ognuno di essi abbia un peso determinante nella qualità del prodotto finale: con i pezzi che sfumano uno nell'altro (stando al modo in cui sono stati "tagliati" molto spesso gli ultimi secondi effettivi di una canzone risultano essere i primi di quella successiva) si ha quasi l'impressione di trovarsi di fronte ad un vecchio disco prog, una lunga suite costituita da diversi passaggi ai quali viene di volta in volta associato un titolo e non ad una semplice raccolta di canzoni slegate tra loro, come del resto vuole la migliore tradizione Seventies.

In conclusione, gli Slough Feg non suoneranno mai di fronte a platee oceaniche e non venderanno mai milioni di dischi ed il fatto che a distanza di quasi vent'anni dall'esordio rimangano una realtà volutamente di nicchia non fa che confermare questa teoria. Dall'altra parte è impressionante vedere come un gruppo del genere, mosso da pochi mezzi che non siano la pura passione, sia riuscito ad imbastire una carriera così articolata e dall'elevato tasso qualitativo, mentre ormai molti mostri sacri del genere si sono da tempo persi in album autoreferenziali o anonimi. "Hardworlder", tra l'altro prodotto dall'italianissima Cruz del Sur, potrebbe essere la "scusa" per poter finalmente entrare nella dimensione parallela degli Slough Feg. Indubbiamente, una delle più piacevoli scoperte degli ultimi anni.

 

"Hardworlder":

1. The Return of Dr. Universe

2. Tiger! Tiger!

3. The Sea Wolf

4. Hardworlder

5. The Spoils

6. Frankfurt-Hahn Airport Blues

7. Galactic Nomad

8. Dearg Doom (Horslips cover)

9. Insomnia

10. Poisoned Treasures

11. Karma-Kazee

12. Whirling Vortex

13. Street Jammer (Manilla Road cover)

 

Michael Scalzi – voce e chitarra

"Don" Angelo Trincali - chitarra

Adrian Maestas - basso

Antoine Reuben - batteria

 

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