Pericoloso incrocio genetico fra un feroce punk di periferia e una isterica checca glam-rock, Ian Svenonius è universalmente riconosciuto come il più estremista e incorruttibile frontman della scena hardcore di Washington D.C., macchina umana impazzita in cui confluiscono senza soluzione di continuità gli elementi più radicali della storia del rock & roll: inni all’insurrezione armata; assalti feroci all’arma bianca; liriche geniali e sovversive; atteggiamenti provocatori, sul palco e nella vita.
Cantante sguaiato e grezzo del disagio (sub)urbano, Ian è stato accostato agli elementi più esplosivi dei più dinamici cantori dell’iconografia sex drugs and rock & roll. In esso confluiscono di volta in volta la fisicità di Iggy Pop, il talento eccentrico di Mark E. Smith, la sfrontatezza di Johnny Rotten , la geniale obliquità di Frank Zappa, il carisma irregolare di Jello Biafra. Insomma, una miscela esplosiva. Che infatti esplose, ma ahimè mai in tutto il suo enorme potenziale: prima come membro dei “Nation of Ulysses”, quindi, sciolti questi, con i suoi “Make-Up”, di cui si contano, a tutt’oggi, 4 album e una miriade di produzioni sotterranee, e.p., l.p., raccolte, live e quant’altro venduto sottobanco o apertamente durante i concerti, e rigorosamente indipendente.
Il problema di Svenonius non è che attingeva a piene mani dall’immaginario musicale più sovversivo, ma bensì che tentava nei confronti di questo uno scarto estremo ancora maggiore, superando qualsiasi possibile immaginazione. E rivoltando il tutto in musica.
Della discografia dei Make-Up mi giunge ora quello che i più tentano di identificare come il vertice maggiore dell’opera tutta: “In Mass Mind”, coagulo scomposto e disarticolato di rhythm and blues (“Joy of Sound”), garage rock (“Time Machine”), funk (“Live in the Rhythm Hive”), gospel e punk (insieme, nella stessa canzone, in “Do You Like Gospel Music”, e ditemi voi se avete mai ascoltato un mostro sonoro simile).
12 canzoni di immaginifica bellezza, dove la voce di Ian svetta ora accarezzando (poche volte) ora aggredendo (la maggior parte delle volte) l’ascoltatore, come se si trattasse di una sfida di pugilato tra lui ed il mondo, e forse in fondo un po’ è così.
“In Mass Mind” diverrà, nella sua incosciente grandezza, il manifesto di un nuovo genere, il gospel-punk; magnifica sorte che tocca solo a pochi e rari protagonisti della storia che più ci piace, quella della grande musica. Nel live che seguirà, poi, a fianco delle canzoni dell’album, avrà posto quella “Free Arthur Lee”, accorato appello alla liberazione del geniale frontman dei Love, canzone a tutt’oggi insuperato monumento del genere, feroce, disarticolata e sconclusionata nel suo essere, nello stesso momento, lirica e struggente, politica e – inevitabilmente – sempre avanti.
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