A chi me l’avesse detto, avrei sputato in un occhio. Io!

Io che sentivo così forte la rivalsa contro la società, io che non mi identificavo in nulla di quel che mi veniva proposto, né dall’establishment né dai miei coetanei! Io sarei rimasto con le mie idee, ad ascoltare le mie musiche rivoluzionarie. Nessuno mi avrebbe domato.

Leggevo, sì, che le generazioni si susseguono al potere, e anche i giovani alla quale appartenevo, che tanto facevano i galletti, sarebbero diventati capponi come i loro padri. E io ero uno di loro. Non ci potevo credere. Come sarebbe successo ? E’ stato notato che chi nasce tondo non può morir quadrato. La musica che ascoltavo era quella di denuncia, musica di cantanti senza voce, complessi di musicisti che a mala pena sapevano prendere uno strumento in mano...

Mantovani ? Musica per orchestra ? Come avrebbe mai potuto succedere che io avrei ascoltato, di tutti quelli messi all’indice, Mantovani, il più sozzo, il più volgare, il più risibile, quello che faceva musica alla quale i cinquantenni si scambiavano un bacio, mmm darling!, l’unica cosa che si potessero ormai scambiare alla loro età? Oh, ce n’è voluto, ma ci sono arrivato. Chiudete la porta e lasciate i ragazzi fuori che, se volete, vi racconto com’è andata. E’ andata che “Swedish Rhapsody” era la sigla del notiziario alla radio di nonna. Son cose che ti segnano, quando il traguardo dei dieci anni ti pare lontanissimo. Poi vai in Scozia, ed è impossibile anche solo fare una pisciatina in quel paese senza entrare nel medioevo e ascoltare “Greensleeves” una mezza dozzina di volte. Ti capita di vedere “Il mago di Oz”, che a noi italiani non significa nulla, ma è un mito nei paesi anglosassoni, un film entrato proprio nel tessuto della cultura popolare con tanto di proverbi che tutti capiscono, e “Over the rainbow” è una melodia memorabile.

Vai negli States, affitti una Lincoln color melanzana metallica, guidi attraverso la Valle della Morte e sta’ sicuro che “Charmaine” prima o poi la trasmettono. Poi un salto nella Grande Mela, fosse solo per vedere il Metropolitan Museum, e inavvertitamente ti infradici dello zuccheroso buonismo americano, del quale “True Love” potrebbe essere l’inno. Obbrobrioso, ma... pensa, quelli ancora credono alla patria! Capita che senti tanto parlare dei chansonnier francesi (Jacques Brel era belga ma lo assimiliamo), e alcune loro arie vengono servite in tutte le salse nei paesi dell’Unione – e non a torto. “Le feuilles mortes” è una di queste, molto film in bianco e nero anni ’40. Per fare una cosa nuova, un anno magari ti compri l’abbonamento all’Opera: vuoi partecipare alla vita culturale della tua città. Così, spettacolo dopo spettacolo, inizi a capire il meccanismo, a riconoscere chi canta bene e chi no, e vedi diverse messe in scena della stessa opera, apprezzandone le differenze. Ti sorprende qui “Love is a Many Splendoured Thing”, con il suo intro e outro usciti pari pari da una Turandot. Wow!

“Moon River” fa da colonna sonora a millecinquecentoventitré film e altrettante pubblicità televisive. Invece, “Begin the Beguine” lo conosci perché sei rimasto affascinato quel giorno che ti hanno spiegato in cosa consistesse lo swing, e lo capisti subito. Non fu un’intuizione ma una rivelazione: hai comprato un cd dopo l’altro del divino Artie Shaw, e ritrovare quel brano in questo cd ti fa ballare, frac e cilindro, in un salone delle feste, uno di quelli dei film d’autore che andavi religiosamente a vedere al cinemino d’essai. Una saga di indiani e cowboy vista da qualche parte avrà avuto un desolato epilogo sulle note di “Londonderry Air”. “Summertime” l’ha inciso questo mondo e quell’altro (io ne ho raccolto 215 versioni quando c’era WinMX gratis). E non mi dire che non ti hanno mai offerto una poltrona per un balletto perché tua cognata era influenzata: eccoti “The skater’s waltz”. E, per finire, “Three coins in the fountain”, cioè “Fontana de’ Trevi”, e ancora vedi le belle forme di Anita Ekberg un po’ oca un po’ stupenda dea a rinfrescarsi in quella piazza che neanche un talibano riuscirebbe ad evacuare.

Quando tutto questo lo hai vissuto, egregio signor Io Mai, ogni melodia ti significa qualcosa. Questo live è un Greatest Hits della vita che hai vissuto o immaginato (non fa molta differenza) lungo tutti questi anni. E, una domenica di Pasqua, ancora un po’ frastornato dagli eccessi della sera prima, lo metti nel lettore, perché il silenzio è troppo presente e un’altra musica sarebbe una presenza altrettanto ingombrante. Le trombe con la sordina, le volute degli archi purissimi di Mantovani – cazzo, Mantovani, mi vergogno solo allo scrivere il nome – prendono per mano i pochi neuroni che ti restano, li fanno accomodare e li deliziano per un’ora, soavissimi come i ricordi che ripresentano. Là dove hai versato un po’ del tuo sangue, lo ritrovi, perché nulla va perduto nell’economia del cosmo: nulla si crea e nulla si distrugge. Ti ricordi quei cinquantenni che si baciavano, panciuto lui e lei bionda ossigenata colla permanente appena fatta? Ting! Un colpo di bacchetta magica, fast forward una qualche dozzina d’anni e TU SEI LUI!

Guardati: in questo universo in cui nulla va perduto, quel cinquantenne è morto da un po’ d’anni, e ne serviva uno per sostituirlo. Piàsc questo disco? Godi, fanciullo mio, ché la festa sta per venire anche per te. E sai quanto vale l’esperienza che ti ostini a trascinare appresso ogni (faticoso) momento della tua esistenza? Questo cd, della serie “The Entertainers”, registrazioni live accalappiate qua e là, totalizza la bella cifra di cinque euro sì e no. Datti una regolata. La prossima volta, pensaci prima: le Ceneri si celebrano 40 giorni prima di Pasqua.

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