Chi ha più o meno quarant'anni credo si ricordi bene del boom del revival garage-punk dei medi anni ottanta: non se ne poteva fare a meno. La rivista più titolata (allora) del settore ci sommerse di recensioni di qualsiasi cosa di sapore sixties venisse pubblicata; di tutto per giunta: dai masterpieces ai lavori francamente opinabili. Non che gliene faccia demerito, a me personalmente permise di scoprire un sound magico. Ebbe l'effetto che probabilmente nel 1976 il punk sortì su quindicenni affogati nel prog e nel glam rock: una boccata d'aria fresca, una folata di vento che rischiarò improvvisamente l'orizzonte sonoro occupato in buona parte da band che cucinavano con nuovi ingredienti la stessa pietanza (la new wave che si incancreniva). Se da un lato il quindicenne medio non si rendeva ben conto della qualità della musica (accade ancora adesso: in questi periodi di stanca si va sul sito di Scaruffi, si prende nota dei dischi imprescindibili e ce li si fa piacere per forza: devono essere dei capolavori!) dall'altro si sentiva la necessità di un qualcosa di nuovo e diverso. Il garage, nuovo non era ma diverso assolutamente si: finalmente musica vera, non trattata, non ostica, nè noise nè yes o no wave, solo musica pulita, zampillante da una pura sorgente. Potete immaginare (o forse non potete) la sorpresa quando finalmente misi sul piatto del giradischi un album come "Inside Out" dei Miracle Workers: era punk ma al tempo stesso non lo era: musica diretta, senza fronzoli, accattivante, vera! Poi con calma si va a vedere cos'era il garage-punk originario (Claudio Sorge ce l'ha spiegato bene) ma ciò è del tutto secondario: la ventata del neo garage-punk è stata per me un'assoluta novità.
I Miracle Workers rappresentano la parte più pulita, originale e vera di questo ritorno alle origini. Band di Portland, Oregon che la geografia ha condannato essere gli eredi di Sonics e Wailers - bands di culto artefici di un garage punk puro e incontaminato dalla British Invasion - ma che in seguito saranno ricordati per la loro originalità e per la freschezza della loro musica. Accomunati inizialmente agli Unclaimed, ai Chesterfield Kings di Greg Prevost, ai Tell Tale Hearts di Mike Stax, se ne discosteranno rapidamente, in forza di un impeto punk ed un' urgenza adolescenziale sconosciuta ai pur lodevoli colleghi: i leggendari Unclaimed del problematico e litigioso, nonchè carismatico, Shelley Ganz non sono mai riusciti a dimostrare appieno le loro potenzialità: condannati alla ricerca del garage-sound perfetto si sono lentamente consumati in questo impervio compito lasciando ben poche testimonianze sonoro se consideriamo le loro originarie ambizioni (il loro top è l'EP di quattro pezzi su Moxie Records). I Chesterfield Kings hanno cautamente immolato i loro primi passi alla sacra fonte dei maestri: celebre il loro primo disco totalmente costituito da covers di sconosciuti gruppi sixties; e anche i Tell Tale Hearts nutriranno un timore reverenziale nei confronti dei classici, Pretty Things in primis.
Da questo punto di vista i Miracle Workers partiranno avvantaggiati, avendo fra le loro fila un reduce della stagione d'oro del garage punk: il tastierista e chitarrista Denny Demiankow provieniente dagli Aftermath, un'oscura band degli anni sessanta (una loro traccia su "High In The Mid-Sexties" vol. 20), artefice con il bassista Joel Barnett, anch'egli devoto allo spirito sixties, dei migliori pezzi del primo periodo. Assieme al nucleo storico dei Workers - Gerry Mohr, Gene Trautmann, Matt Rogers - registreranno una manciata di dischi contraddistinti da una contagiosa furia garage. Canzoni come "Waiting", "Hang Up" (dei Wailers), la devastante "Infected With You" (sulla raccolta "The Rebel Kind" - 1983 Sound Interesting Records) "Strange Little Girl", la cover di "Psycho" sono pura essenza punk, ammorbidita dalle tastiere simil-Manzarek di Demiankow e dalla chitarra fuzz di Rogers. L'apice di quel periodo nel masterpiece "Inside Out" primo album uscito per la Voxx che si ricorda oltre che per i brani punk-oriented - "Hey Little Bird", "Already Gone" - anche e soprattutto per le affascinanti ballate: la title-trak e la pietra miliare "You'll Know Why", un classico del loro repertorio.
Poi il primo grande cambiamento. Non so se per scelta o necessità, i principali artefici del garage sound se ne vanno; Demiankow in pianta stabile e Barnett sostituito dal bassista Robert Butler proveniente dagli Untold Fables (un album su Dionysus Records che ho riascoltato per l'occasione. "Aesop's Apocalypse" è una buona raccolta molto variegata di tutti i possibili tempi garage: punk, blues, boogie, ballata, eseguiti con perizia e genuina passione; anche una versione di "Cry In The Night" degli olandesi Q65)
I Miracle Workes vogliono dare un taglio netto al loro sound, e saranno tra i pochi gruppi (gli altri sono i Chesterfield Kings di "The Berlin Wall Of Sound") che dal garage-punk compiranno un salto qualitativo senza ritorno nel suono più evoluto di marca seventies. Per questo giungono persino in Europa a registrare il loro secondo disco trovando asilo nella tedesca Love'e Simple Dreams che pubblicherà nel 1987 il loro "Overdose" più rock, più acido, più tutto. Il solito Sorge (che ai tempi ancora non era uno che esagerava) si spingerà a definire i Workers di questo album i soli e veri eredi degli Stooges. Come non dargli ragione?
A questo punto il garage è solo un ricordo; non li riconoscereste nemmeno nel look: ora appaiono vestiti di pelle nera e capelli lunghi sul retro di copertina e la musica non è da meno. "Rock'n'Roll Revolution in The Streets part 2" è un assalto sonico all'arma bianca: potenti riff di chitarra distorta (il fuzz se n'è andato) su un tappeto ritmico poderoso e la devastante coda che è un delirio in crescendo, un vortice sonico di chitarra/basso/batteria da pelle d'oca. Poi il capolavoro "Lights, Camera, Action" (nei concerti italiani dedicata a Federico Fellini, molto amato dai nostri) una struttura garage con un'armonica assassina che introduce un punkaccio iper-veloce di sicura presa. Un'avvincente ballata "Just Can't Find A Better Way To Waste You Time" con sempre in primo piano la superba chitarra di Matt Rogers. "Without Her Around" ritorna alle origini del loro primigenio sound , la pregevole "When A Woman Calls My Name" un'altra ballad da favola; "She's Got A Patron Saint" che diventerà il loro pezzo forte dal vivo e poi il doveroso tributo agli Stooges con la cover di "Little Doll".
P.S. nella ricerca di qualche video su You Tube (poca roba, ahimè) da allegare alla recensione, mi sono imbattuto in questa versione di "Kick Out The Jam" attribuita a dei fantomatici Miracle Workers. Non sono loro di sicuro, ma sono alcuni di loro (Rober Butler, il batterista Gene Trautman) quelli che hanno postato i commenti!
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