"Black & White Minstrels 75-79" è il reperto archeologico della preistoria dei Monochrome Set.

Loro sono la cult-band britannica che, col capolavoro "Strange Boutique" del 1980, riuscì nell'impresa impossibile di pervenire ad uno stile coerente e immediatamente riconoscibile, frutto di un'alchimia inspiegabile fra Canterbury, pop anni 60, new-wave all'acqua di rose, canzone francese, cabaret d'altri tempi e una bella spolverata di psichedelia desertica.
Ma prima di questo, i Monochrome Set erano una band relativamente normale (a patto di ritenere "normale" il fatto di suonare un rock così lineare sul finire degli anni 70, in epoca di stranezze).

In questa raccolta di singoli antecedenti l'esordio in LP, il modello è il più classico dei classici: Lou Reed. Il suo rock discreto, limpido, dritto, pacato sino all'ipnosi, quello che perfezionò a partire dall'esperienza coi Velvet Underground (in particolare, il terzo album) e, soprattutto, coi primi singoli da solista si ritrova nelle sobrie "Inside Your Heart" e "White Noise", tenere ballate narcotiche di cui avranno modo di ricordarsi i bostoniani Galaxie 500 una decade più tardi. A proposito di rifondazioni stilistiche, vale la pena di sottolineare il nitore accorato di "Private Dick", capolavoro senza tempo che riparte da Neil Young e Jackson Brown per fondare la neo-psichedelia dei vari Dream Syndicate, Camper Van Beethoven, Flaming Lips, forte di un ritornello eterno, di quelli tanto risaputi da non annoiare mai, in quanto consacrati come classici. Con i brani sopra menzionati, i Monochrome Set spianano, casualmente e inconsapevolmente, la strada a tanto indie-roots contemporaneo, disintossicato dagli eccessi degli anni 80 e riconciliato con la classicità intramontabile degli anni 70.
 Ma più ancora che quella decade, ad essere riesumata è quella precedente: i briosi primi 60's. "It's More Than Just Love" fa venire in mente "Locomotion", spiagge assolate, gavettoni, spensieratezza. Ma ancora meglio fanno in "We Are Zarbie", squisita novelty divelta da un fuzz distorto elettronicamente e guidata da un organetto beat-surf : siamo a metà strada tra Fleshtones e B52; scorrevole anche "Lester Leaps In", un po' insipida però.

La new-wave è lontana, pare non interessare i nostri, che tuttalpiù si limitano a sbeffeggiarla, come in "Alphaville", che fa il verso ai Television, o come in "Silicon Carne", che adotta sì quell'approccio febbrile e fatalista che costituisce forse il vero comun denominatore di tutte le esperienze musicali etichettate come "new-wave", ma lo fa sempre con quel beffardo tono da languido chansonnier, che poi si ritroverà in "Ici Les Enfants" su "Strange Boutique". Questo recupero di culture estranee all'universo anglofono non si limita all'Europa. Lo sperimentalismo indefesso di queste autentiche mine vaganti della musica popolare post-moderna si sposta agevolmente ai quattro angoli della Terra per donare una nuova veste a linguaggi musicali tra i più disparati: e così si passa senza soluzione di continuità dalla Turchia, evocata nella salmodiante "Eine Symphonie Des Grauens" all'Argentina, omaggiata in "Mr Bizzarro", spettacolare tango, tutto retto su di una sessione percussiva da brividi, stravaganza esotica dal fondo tenebroso, che nemmeno geni etno-dark come i Savage Republic sono mai riusciti ad eguagliare.

A suggellare la raccolta, una versione primordiale del brano "Monochrome Set", che avrebbe aperto "Strange Boutique" all'insegna di un contagioso tribalismo e che qui ci viene proposta invece in una versione più sincopata e, tutto sommato, più ordinaria.

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