A volte si arriva in ritardo, a volte non si arriva mai. Spesso succede per caso: rumore. Nel rumore quotidiano scorgi un suono così limpido che non puoi fare altro che isolarti dal resto del mondo ed entrarci in sintonia. L'alligatore ti morde quando le prime note di "Secret Meeting" s'incuneano tra le pieghe del tuo udito. Ma è un morso dolce, due note accennate di una corda qualunque; una batteria spezzata. Come inizio non c'è male, cominci a dire e a pensare.
Poi entra la voce; dopo qualche secondo in cui ti pare di essere entrato in un sogno i cui protagonisti sono i Death Cab For Cutie con Paul Banks alla voce, ti risvegli, ma mai risveglio fu più gradito.

Il tale in questione si chiama Matt Berninger e la sua capacità di avvolgerti è sorprendente. Comincia con quel tono sghembo e svogliato alla Ian Curtis, ma con l'irriverenza di Bryan Ferry ed una classe cristallina. Il colpo non è semplice da assorbire, ma dopo essere stato intontito dalla prima traccia riponi poche speranze nel proseguo, perché una cosa del genere non ti può riuscire troppe volte in una vita, figuriamoci in un album solo. E invece parte "Karen" e quando arriva quella specie di litaniaritornellante ti sciogli come la cera, diventi fluido e ti sembra di poterti infilare dappertutto rincorrendo quella melodia.
Da qui in poi sei libero di librare tra i gioielli sparsi per tutto il disco ed ogni volta stai a mezza via tra la voglia di ascoltare il pezzo dopo e quella di sentire ancora qualche secondo la traccia corrente. Rimani intrappolato tra i cuscini sparpagliati nel paesaggio sonoro di "Looking For Astronauts", cantilena magnetica; scorgi il deserto accogliente dietro il vetro di “Daughters Of The Soho Riots”; ti sorprendi davanti alle improvvise accelerazioni di “All The Wine” , “Abel” e “Mr. November”; ti ritrovi cullato e sublimato dalle onde di “Val Jester” e “The Geese Of Beverly Road”.

Post-rock, new-wave, sadcore? Non lo so. Sinceramente non lo so. Vorrei rimanere folgorato tutti i giorni da un diamante di tale luminosità, questo disco mi accompagnerà a lungo, con la sua cover irriverentemente anni ’70, così anonima e fredda, per contenere il calore e non permettere che si disperda.

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