Nei blog specializzati e sui siti della critica si rincorre il tam tam che annuncia The Oohlas come una delle rivelazioni più promettenti della stagione musicale autunno-inverno 2006. E dunque eccoci subito a scriverne, perché, come noto, nulla vale quanto il sottile piacere di poter un giorno dire "io l'avevo detto".

The Oohlas sono Greg Eklund, ex-batterista degli Everclear (gruppo pressoché sconosciuto da questa parte dell'oceano, ma con un certo seguito sulla scena indie-rock americana), il fratello Mark e la rossa (di chioma) Ollie Stone. Musicalmente sono parenti alla lontana dei Pixies di "Bossanova" e forse un po' anche dei Pavement di "Crooked Rain, Crooked Rain". Più in linea diretta sono i figliocci di quella strana creatura a cento teste nota come post-grunge, come del resto lo erano gli Everclear, ma nella sua accezione più contemporanea ed ormai emancipata.

Il loro album di debutto "Best Stop Pop" arriva dopo un EP auto-prodotto nel 2004, che aveva già sollevato un discreto interesse e di cui questo ultimo lavoro ripropone diverse tracce. Il suono degli Oohlas è saldamente sorretto dalla coppia di chitarre elettriche di Eklund e della Stone, che si alternano anche alla voce, mentre basso e batteria hanno ruoli più di contorno. L'effetto che se ne ottiene sono vere e proprie ondate di robusto suono elettrico, vivaci giri sulle corde delle chitarre, che continuano a rubarsi la scena sovrapponendosi e rincorrendosi senza sosta. Il tutto però rifuggendo qualunque pretestuosa attitudine noise; quasi, anzi, rivendicando una certa vicinanza alle sonorità più orecchiabili e radio-friendly tipiche del college rock.

Volendo giocare a fare i talent-scout e a ragionare in termini discografici si può anche menzionare il fatto che "Best Stop Pop" contiene un discreto numero di potenziali singoli, di quelli che partono in sordina sulle radio indipendenti e magari te li ritrovi un giorno nelle pubblicità del tuo gestore telefonico. Il pezzo d'apertura "Gone" rientra in questa categoria, così come, più avanti, "Small Parts" o "Cahuenga Shuffle", in cui anche l'ascoltatore meno smaliziato non potrà fare a meno di notare come The Oohlas, con la signorina Stone alla voce, ricordino innegabilmente le Hole di Courtney Love nel loro periodo migliore. Lo spirito di questo album e di questa band è ottimamente rappresentato da "From Me to You". Partenza quasi lo-fi, strofa su ritmi pop-rock, ritornello a due voci di grande effetto, riff accattivanti, per poi ricominciare. Classico pezzo su cui le vostre spalle cominciano a muoversi, la testa a ciondolare, e se siete in macchina scalate una marcia per guadagnare in ripresa e divertirvi un po'con l'acceleratore.

Alla fine dell'ascolto sfugge forse il senso del tutto: ennesimo tentativo dell'indie-rock americano di lasciarsi alle spalle le pesanti eredità passate e di ripartire su basi più concrete e meno inutilmente alternative? Oppure furba produzione di un gruppo indubbiamente talentuoso, ma con tanta voglia di scrollarsi di dosso quanto prima la polvere dell'anonimato? Come al solito la saggezza dei luoghi comuni prevale, e probabilmente la verità sta da qualche parte nel mezzo.

Per ora resta un ottimo album di musica, magari non nuova, tanto meno innovativa, ma dal gusto fresco e genuino. Ed è proprio questo che il buongustaio cerca, stasera. Per i grandi chef c'è sempre tempo.

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