Dietro la sigla di "The Organ" si celano cinque ragazze canadesi, che pubblicarono questo album gia' nel 2004, con Mint Records, ma nell'anonimato piu' totale.

In circa due anni il passaparola in rete ha pero' reso onore a quella che si prospetta, a mio avviso, una delle uscite (anche se sarebbe piu' adeguato parlare di ristampe, dato che l'edizione di quest'anno è curata dall "Too Pure Records") piu' gradevoli del 2006.

Anche se veramente fastidioso, è d'obbligo premettere che di innovazioni non se ne trovano in questo disco, musicalmente parlando, detto questo credo di poter chiudere anticipatamente il tanto diffuso gioco delle derivazioni, che sono chiaramente eighties, dai Cure di "Seventeen Seconds" e "Boys Don't Cry", agli immancabili Joy Division, per le sfumature esistenziali, ai mai citati Fall e Stranglers, per gli arrangiamenti molto spesso "dreamy", fino a Smiths, soprattutto per la voce di Katie Sketch, e Interpol. Nonostante tutto questo citazionismo che fara' arricciare il naso ai fautori del gioco che citavo poc'anzi (e fra i quali mi ci metto anch'io..), "Grab That Gun" è una di quelle rare uscite che riescono davvero a spaccarti il cuore.

Le melodie sono quanto di piu' soavi, trascinanti, e struggenti si possa chiedere a questo ultimo scorcio temporale, che a parte rare eccezioni come Interpol e ILYBICD, attinge si a piene mani dal calderone new wave, ma nella sua parte piu'superficiale, modaiola, vedi Strokes, Bloc Party, Maximo Park. La frescezza che esprime è incredibile, quasi ogni brano è un potenziale singolo groove-crasher, con la sua sezione ritmica scevra di virtuosismi ma incalzante, soprattutto le linee di basso, molto profonde.
La chitarra sembra, e qui il citazionismo è inevitabile, ma assolutamente in positivo, unmix degli arpeggi di Johnny Marr e delle torture di Robert Smith e Bernard Sumner. L'hammond regala una piacevole aura solenne al tutto, riuscendo nella difficile missione di non appesantire, ma di riempire. La voce è toccante, candida e disillusa, la speranza non abita di certo le fibre ottiche di questo disco, come si evince anche dalle liriche, rassegnate ma vigorose ("A sudden Death" e "Brother" su tutte). Si inizia appunto con l'arpeggio di "Brother", dove la voce della Sketch è gia protagonista, insieme alla ritmica "cattiva". "Steven Smith" inizia con una frase di organo, ed è la piu' smithsiana del lotto, difatto la voce è un 'omaggio a Morrissey, e forse anche la piu' autocommiserativa.

"Love, Love, Love"e' il primo capolavoro del disco. Il riff è davvero penetrante, dolce e disperato, compenetrato da un cantato eccezionale. "Basement Band Song" è un ballabile triste con i contrappunti canori della Sketch, stavolta fatalmente sussurrati verso la fine. "Sinking Hearts" e "I am not Surprised" sono altri due malinconici ballabili, molto toccante soprattutto quest'ultimo. Mentre "There is Nothing I Can Do" e "No One Has Ever Looked So Dead" smorzano un po' i toni, ballate cadenzate, le due rimanenti "A Sudden Death" e "Memorize The City"sono fra i colpi memorabili del quintetto, forti di melodie immediate e trascinanti ma non scontate. La prima è forse il brano piu' abrasivo, emotivamente, con il riff e l'hammond che trasudano dolce malinconia, la seconda, e ultimo brano dell'album, si lancia in un ritmo molto sostenuto, dove tutto il disagio maturato nel lavoro deflagra, educatamente e moderatamente, ma deflagra, impreziosita per di piu' da un testo finalmente disilluso, dato che forse la pecca maggiore di "Grab That Gun" è il piangersi addosso, anche se è oggettivamente difficile evitare quando si trattano tematiche simili.

Esordio felicissimo per le quattro ragazze dunque, capaci di collezionare una gemma dopo l'altra e  toccare le corde emozionali dell'ascoltatore con tale efficacia e onesta'. È da augurarsi che proseguano su questa falsariga, ma gia' da ora possiamo intuire che non sara' semplice.

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