Tornano a tre anni da “Africa Avenue” i Paperhead, trio di Nashville che a dispetto dei natali praticano l'arcana arte del pop psichedelico. “Chew” va giù liscio come una cedrata ghiacciata insieme ad un pezzo di pizza al rosmarino, perfezionando l'arte della pop song 60's style iniziata col disco precedente. Rispetto all'esordio il gruppo ha progressivamente diminuito (o meglio diluito) il tasso acido della loro musica, lavorando di cesello, sfornando 13 canzoni a cui poco si può dire nel loro genere di appartenenza.
Genere che oltre ai cascami del psych pop '60 britannico migliore, aggiunge fiati (l'iniziale “The True Poet”) anfratti quasi messicani (la bellissima “Dama de Lavanda”) e addirittura una strana idea di country psichedelico (“Pig” fra fuzz e banjo, la slide della breve “Porters Fiddle”). Per quanto riguarda quella che oramai è diventata la specialità della casa, ossia pop song solare e leggermente acida, c'è di che gioire anche questa volta: “Emotion (Pheromones)” ideale colonna sonora per il vs giro a Portobello Road, la cantilena ipnotica di “Love You To Death”, il vaudeville a la Small faces di “Reincarnated”, il phaser a tutto spiano di “Wars At You”).
Tutto molto ben curato, col problema endemico del derivativismo di queste musiche (ma c'è un cartello grosso come una casa all'ingresso, basta vedere la copertina), ma fatti da un gruppo dalle innate doti di scrittura. Esempio lampante i due esperimenti del disco, “Little Lou” ballad altera dove compare quella che sembra una sega e la filastrocca “Fairy Tales” tra fatine acide e inquietudine sparsa che fa molto The Wicker Man.
Disco dalle dubbie capacità sulla lunga distanza ma colonna sonora ideale di questa torrida estate.
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