Prima che qualcuno mi riprenda, sono al corrente di aver proposto precedentemente una recensione su questo disco, ma un pò per soddisfazione personale, un pò per rispetto dell'album, ritengo giusto riproporvi una stesura più completa ed esauriente su una delle più belle opere blues.
"...Le tre grandi B della musica classica erano Beethoven, Brahms e Bach, oggi le tre grandi B del blues sono Bloomfield, Bishop e Butterfield...".
Queste sono le parole che Paul Nelson scrive nel back-cover del mitico "East-West" per presentare una delle più gloriose blues band della storia: la Butterfield Blues Band. Già nel 1966 questa gode di una discreta fama nella zona di San Francisco, grazie alle prime esibizioni dal vivo. Difficile non essere colpiti da un gruppo quando è formato da un grande bluesman come il vecchio Paul Butterfield, affiancato da due fenomenali chitarristi come Mike Bloomfield ed Elvin Bishop. Dopo aver inciso il primo album ("Paul Butterfield Blues Band"), Butterfield, Bloomfield, Bishop, il tastierista Mark Naftalin, il batterista Billy Davenport e il bassista Jerome Arnold, iniziano la registrazione di uno dei più grandi dischi del genere (e anche di tutto il rock).
"East-West" (come ho sempre sostenuto) ha esteso il significato della parola BLUES, uscendo dagli schemi composti dai soliti tre accordi, e spostandosi verso una musica mai sentita prima: una miscela di psichedelia, jazz, musica indiana, ed ovviamente blues. Il viaggio da est ad ovest inizia con l'irresistibile "marcetta" (se mi è permesso chiamarla marcetta) di "Walkin' Blues". Ritmi serrati, chitarre ruvide, armonica energetica aprono la strada ad uno dei più bei (e sottovalutati) viaggi nella musica rock. Il ritmo rallenta ma l'adrelina è sempre alta con la seguente "Get Out Of My Life, Woman", dove Naftalin supera se stesso con il suo splendido assolo di piano che riprende (in parte) sonorità tipicamente jazz. I blues lenti non mancano: "I've Got A Mind To Give Up Living" e la splendida "Never Say No" (con Bishop alla voce) ricordano le classiche melodie della cultura americana della prima metà del '900. La psichedelia è evidente nella indimenticabile "Mary Mary" (assolutamente migliore rispetto alla versione dei Monkees) e nei due pezzi strumentali di cui parlerò in seguito. L'energia si sprigiona nella storica "Two Trains Running" e nell'ottima "All These Blues". Ma i punti cardini dell'opera sono i due brani strumentali. La prima grande perla è "Work Song", perfetta in ogni sfaccettatura: Bloomfield fa da apripista con lo splendido fraseggio jazz di Nat Adderley, ruvido nei suoni, spigoloso negli intrecci, semplicemente sublime; segue Butterfield con l'armonica e Naftalin alla tastiera; Bishop chiude riprendendo il tema di Bloomfield con uno stile più fluido ed elegante (ciò non significa assolutamente più bello). Il punto cardine di tutto il disco è la splendida suite "East-West" (composta da Naftalin e Nick Gravenites): è Bishop ad iniziare stavolta e si distacca completamente dalla tradizione blues, sperimentando un nuovo stile meno americano. Indimenticabile l'intreccio di chitarre del vecchio Elvin con il compagno Mike: il blues diventa mondiale, l'Oriente incontra l'Occidente, scale modali che sostituiscono le pentatoniche, si respirano nell'aria Ravi Shankar e John Coltrane, qualcosa di nuovo che germoglia (alcuni li paragonano ai Doors, ma c'è molta differenza a mio avviso).
Inutile aggiungere ulteriori commenti: "East-West" è una delle più importanti opere della scena americana. A distanza di quarant'anni, jazzisti e bluesmen si sorprendo all'ascolto di una musica tanto emozionante e senza tempo. Butterfield e compagni hanno lasciato la loro impronta nella storia della musica moderna.
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