Anni 2000, anni di riflusso a quanto pare, le nuove idee in grado di trovare un largo consenso di pubblico latitano disperatamente, e così ci si aggrappa al passato, si ricicla, molte volte male, alcune volte meglio. Alzi la mano chi come il sottoscritto ha scrupolosamente annotato e catalogato tutti i nuovi Velvet Underground, i nuovi Led Zeppelin, i nuovi Joy Division ed altri marchettoni simili con il preciso intento di evitarli tutti dal primo all'ultimo; già, il revival del rock fa sicuramente molta tendenza, è l'ideale per darsi un tono, una parvenza "altenative" che personalmente ho sempre trovato degna di sonore pernacchie. Penso che le mie idee in fatto di revival siano molto chiare, senza leggerezza ed autoironia rimangono solo patacche clamorose, a queste tre ragazze inglesi queste doti non mancano, ed in più dimostrano come si possa essere originali e personali anche in questo contesto. Un semplice e genuino pop al femminile in puro stile anni '60 si presta decisamente meno ad articoli infarciti di paroloni ed elucubrazioni basate sul nulla rispetto agli Arctic Monkeys di turno; non penso che con queste basi la carriera musicale delle Pipettes sarebbe potuta durare chissà quanto, probabilmente con il disco d'esordio hanno già espresso tutto il proprio potenziale, tuttavia la disparità di trattamento rispetto ad altre realtà più pretenziose ed artatamente gonfiate rimane comunque piuttosto fastidiosa, segno che nel music-biz del terzo millennio, evidentemente, la spontaneità e la sincerità sono qualità che risultano malcelatamente sgradite.

Per apprezzare appieno il lavoro di Julia, Rose e Rebecca occorre per prima cosa capirne lo spirito ed accettare senza remore il fatto che ci si trovi davanti a qualcosa di totalmente riciclato: ogni singola nota, il look, il nome del gruppo, perfino il produttore-pigmalione-ispiratore a cui si deve la formazione del trio (Robert Barry), una volta entrati in quest'ottica, non resta che apprezzare appieno un succulento concentrato di freschezza, ingenuità e simpatia; tanto per dirne una, la grandissima Kirsty MacColl ha più volte flirtato con questo particolare sottogenere del pop, riconoscendone, dall'alto della sua sensibilità, le naturali ed innegabili doti espressive e melodiche. "We Are The Pipettes" è talmente derivativo che, esattamente come negli anni '60, sembra appositamente costruito come mero "contenitore" per quattro/cinque brani di punta, con il resto che sembra quasi un semplice contorno, per quanto sempre piacevole. Nonostante tutto, la formula funziona sempre alla grande, per qualsiasi amante (coscienzioso) del pop questo disco è una vera delizia: energico e divertente, con quei motivetti facili ed irresistibili, ottime armonie vocali ed una squisita freschezza giovanile. Spiccano ovviamente i singoli "Pull Shapes" e "ABC", ma il vero apice del disco è la semi-ballad "Judy", una canzone che sarebbe piaciuta tantissimo a Kirsty, che con ogni probabilità ne avrebbe inciso una cover per il suo "Desperate Charachter", stesso identico approccio emotivo, stesso mix di dolcezza ed energia, stessa efficacia nel raccontare l'adolescenza con autentica sincerità. In questo album una buona dose di sgallettata spavalderia (la dichiarazione d'intenti "We Are The Pipettes") si intreccia con naturalezza ad una sensibilità squisitamente femminile (la dolce e malinconica "A Winter's Sky") così come gli ottoni si alternano all'organetto ed agli archi, è tutto un lavoro di piccole scintille e contrasti uniti da armonie semplici ed efficacissime; tra i tanti motivetti, spesso sotto i due minuti di durata, che popolano la tracklist emergono alcuni piccoli capolavori melodici come le spensierate "It Hurts To See You Dance So Well" e "Your Kisses Are Wasted On Me", l'agrodolce "One Night Stand", altro brano molto "maccolliano" nella musicalità e la brillante e coloratissima "Because It's Not Love (But It's Still A Feeling)".

A conti fatti "We Are The Pipettes" è un album praticamente perfetto, molti alti, nessuna caduta di stile, non una singola brutta canzone; è un qualcosa di tenero, vivace, delizioso, forse una mera operazione commerciale, ma di quelle buone, una piccola anomalia, una curiosità che vale la pena di conoscere. La cosa più bella è che per gli anni 2000 queto è un album completamente anacronistico, non per le sonorità, ma semplicemente perchè non si rivolge ad uno specifico target di pubblico; in linea puramente teorica sarebbe un eccellente disco teen-pop, l'ideale per introdurre le "giovani leve" al lato più semplice, genuino e popolaresco della musica, ma tra Beyonce e i My Chemical Romance quel settore appare decisamente intasato, e per una fascia di pubblico più adulta, beh, purtroppo non sono molti quelli che conservano un lato fanciullo e naif, indispensabile per apprezzare a pieno un disco come questo, ed è un vero peccato, dopotutto mi sembra così semplice e naturale...

 

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