Se viviamo tempi grigi, senza fuoco e senza poesia, un disco come questo è un dono per le nostre anime abbacchiate. Che qui, oltre a fare ottima musica, si rende omaggio a Bob Kaufman, grande poeta nero dell'età del Beat
A musicarne i versi tanta bellissima gente: quattro alchimisti del suono tra cui due ex Notwist e ospiti di livello quali Moor Mother, Patti Smith, DoseOne dei Clouddead e, soprattutto, la straordinaria cantante e clarinettista Angel Bat Dawid.
Kaufman, soprannominato il Rimbaud nero, era una costellazione di utopie: l'urlo della poesia sul palcoscenico della strada. l'impermanenza dell'attimo che brucia e chiama un altro attimo e, in ultimo, lo scandaloso mistero del silenzio in mezzo al blaterare del mondo
Infiammato da Charlie Parker, sognava una poesia che ne replicasse in qualche modo il folle volo. E, se il respiro di Charlie era tutt'uno con il ritmo, i versi di Kaufman scintillavano nell'aria come un assolo be bop.
Aveva il culto dell'oralità, perchè pensava che solo il suono della viva voce potesse restituire alla poesia la sua primitiva forza e amava improvvisare nei luoghi più impensati affinché le sue parole sbattessero il grugno contro il mondo.
Fosse stato per lui non avrebbe pubblicato un solo verso e se oggi possiamo leggerne i libri è perché la moglie e San Ferlinghetti avevano l'abitudine di prendere appunti durante quei folli comizi d'amore.
La sua è una di quelle vite che andrebbero raccontate, a cominciare da un già bizzaro cocktail di ascendenze: il padre ebreo tedesco, la madre creola e la nonna signora del vodoo.
E poi la fuga a tredici anni per diventare marinaio, le lotte sindacali, l'arrivo a Frisco, l'incontro con Ginsberg e gli altri poeti beat, il buddismo, il voto di silenzio contro gli orrori del mondo, il breve ritorno alla poesia, la definitiva scelta di essere dimenticato, la morte in solitudine.
A tutto ciò si aggiunga l'esser stato costante vittima di poliziotti e psichiatri con arresti, ricoveri e diversi elettroshock subiti. Il suo esser nero con una bella moglie bianca, l'rrequietezza, lo scompiglio della sua poesia di strada, il sogno di una vita diversa e la sua irriducibile alterità erano troppo per quell'America che allora si scriveva con la K. Come'è che diceva quello: “ho visto le menti migliori della mia generazione...”
Ma ora magari vi parlo un po' del disco...
…
Basta poco, un attimo di jazz dolente, una marcetta allucinata, una voce che quasi ci senti Nina Simone e poi quei versi, “il sole è negro, la madre del sole pure”, e quindi si, basta poco, che il gusto è forte, il sapore acceso.
Il bello poi è che si va avanti così, con i tizi della sala macchine a tener sotto controllo un musica di confine fatta di fanfare tristi, pazzia free e speziate armonie del mondo.
Una scienza del suono fatta di elettronica, modernità e quant'altro ad abbracciare l'esplodere del sentimento, l'urgenza delle voci e tutto quel ribollire che potremmo definir poesia.
Qualcosa come prendere il Jazz in bianco e nero e riempirlo di colori, l'infinita solitudine dell'azzurro scoppietante”, i favolosi “treni verdi venuti da marte rosso”, quelli dove un giorno saliranno i neri per andarsene in un posto migliore di questo.
E alla fine ancora quella voce, ancora il sole e la madre del sole, questa volta niente marcetta però, ma solo jazz dolente... e, mentre l'orgoglio sale, il cuore si spezza in una specie di commiato.
E allora tocca ringraziare tutti, nessuno escluso, anche se magari Angel Bat Dawid un pochino di più, che se Moor Mother ci ha portato da qualche parte tra Medio Oriente e Africa, se Patti ha fatto la Patti e gli alchimisti han fatto gli alchimisti, Angel, cantando ruvida e aspra e suonando duro e forte, ci ha messo anima e sangue.
E poi Kaufman, ovviamente, la sua voce campionata in diversi brani è una vera e proprio trafittura di tenerezza. Senza contare la bellezza della sua poesia, scandaglio surrealista sulla vita, nostra dannazione e nostro unico dono.
Trallallà...
Carico i commenti... con calma