In un'epoca non troppo remota, e vai che ci infilo l'ego, svolgevo il mio servizio civile in una casa di riposo: "Pio Pertusati", un nome, una garanzia di successi sentimentali.
Laggiù, tra gli umori d'urina rappresa e le facce inebetite, mi capitava di spazzare in terra con il walkman collegato alle orecchie e in onda i funambolicamente pirateschi Pogues da Dublino.
Ahhhhh, la vita tornava e il vento di morte che saliva dalla tromba delle scale scompariva... ecco dischiudersi davanti a me branchi di puledri da casa di riposo che ballano con le Guinness in mano intonando "The sick bed of Cuchulain".
Pogue Mahone, letteralmente baciami il culo. Un gruppo storico dalla meteorica carriera tanto fulgida quanto breve, autore di canzoni in cui si mischiava il folk irlandese d.o.c. con il rock e anche certi suoni new wave come in questo disco, prodotto da Elvis Costello che per l'occasione si trombò la bassista Cat o'Riordan.
Shane McGowan, un alcolizzato che scrive/va canzoni piene di storie sghembe: beoni, puttane, amori contrastati, storie di migrazione, vecchi che giocano a carte in osteria fantasticando sulla fica, malinconiche ballads che ti fan venire voglia di mollare donna e lavoro e solo scrivere su DeBaser. Per tutta la vita.
Questo disco presenta tutti gli ingredienti del gnoccone Pogues: un haggis dove il lardo è bello spesso e senti tutte le piccole frattaglie sciogliersi in bocca... che squisitezza spacca-fegato! Se siete stati in Irlanda o in Scozia, se avete bevuto la birra che hanno lì, senza tutte quelle fottute bollicine che ci rifilano a noi altri mediterranei capirete di cosa parlo... parlo di sbronze prese senza accorgertene, quando l'elisir scende così facile-facile che non te ne accorgi: la stessa sensazione che si ha con le birre dell'est Europa, su tutte la Pivo slovena... la morte sua.
"Baciami il culo" suona la storia della nostra vita, ollà che definizione! Ma è tutto vero, vi ci potete sguazzare e andarci a braccetto, e ogni tanto madare al cospetto di Belzebù qualche tristo metallaro pipparolo... quì si deve ballare con la pinta in mano e con la donna che sgonna tra sulle assi dell'osteria! Ci vogliono le fisarmoniche e i flauti che suonano in "Dirty Old Town", praticamente l'inno della sfacciataggine, della malinconia dei bei ragazzi poveri, dei "poveri ma belli".
Ah, ma vogliamo dire cos'è "Rainy Days in Soho"? Ma si diciamolo dannazione! Una maledetta canzone malinconicamente fatta, una figata pazzesca, ecco! E ora mandatemi quì i critici musicali che gli infilo un tubo attaccato al barile della Pils, birra praghese da conoscere, e li rincoglionisco finché non potranno ascoltare che questo e Mino Reitano, un altro uomo perennemente ubriaco e perennemente ispirato.
Amen.
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