Difficilissimo è parlare dei Police, ovvero di uno dei gruppi che hanno avuto l’onere e l’onore di far da colonna Sonora alla propria adolescenza, quell’adolescenza minima e anticipata che caratterizzava i ragazzini d’allora, che a nove anni ascoltavano già i cantautori e non sentivano l’obbligo genitorial/televisivo d’essere ancora dei poppanti da cartoni e videogiochi.

Difficilissimo perché mi ricordo benissimo la gioia che mi dava il tenere in mano quella cassettina grigio chiara della A&M, quella cassettina da dove venivano fuori una voce urlante e pugigliona, una chitarra folle per i canoni d’allora e forse la più bella e innovativa batteria che si potesse immaginare. Per chi, come me, aveva poche cassettine, ma erano dei Pink o di Battisti, quell’impatto sonoro era del tutto nuovo ed aveva una portata, anche emozionale, immensa. Col tempo, e qualche miliardo di minuti di musiche ascoltate sul groppone, non ho cambiato giudizio di una virgola. Prima c’erano grandissimi gruppi, dei nostri genitori o dei nostri fratelli maggiori. Al limite si dibatteva sulla superiorità dei Beatles sugli Stones, dei Led Zeppelin sui Deep Purple o dei Genesis Gabrieliani sugli Eagles, o del cantautorame loro (Dylan) su quello nostro (De Andrè o Guccini), o di quello presunto di destra (Battisti) su quello dichiaratamente di sinistra (De Gregori). Ma nel ’77-’78 si sentiva cambiare l’aria, un po’ ovunque.Ed è difficile inquadrare questi importantissimi anno nei ’70… .

La lancio lì: nel ’77-’78, cari miei, cominciano gli ’80, e non ci sono balle da calendario che tengano. In quegli anni hanno cominciato i Police, i Dire Straits, Pino Daniele (quello Bravo), Vasco Rossi (ancora quello Bravo), Prince, gli U2, i Simple Minds, ecc… , tutta gente che dominerà da lì in avanti. E vi pare poco… ? Si stava girando un’importantissima pagina di una musica ancora grande nel libro oggi ormai quasi concluso delle sette note. E di questa bellissima pagina i Police hanno scritto alcune tra le righe più belle, senza dubbio. L’unico problema, visti gli anni e la tendenza alla condensazione pigra delle emozioni, è che i cinque dischi dei Poliziotti li si comincia a vedere come un unico, impareggiabile, disco. Ed ecco perché mi permetto di segnalare questo prodotto, dove le opere poliziottesche sono esposte di fila in quattro ciddì, pregni di versioni live, B Sides e inediti vari. E, ovviamente, dell’opera omnia in studio. Quattro ciddì da divorare, che partono dall’introvabile “Fall Out”, primo singolo privo di album, a “Don’ t Stand So Close To Me ’86”, ultimo singolo (fortunatamente ?) privo di album. In “Fall Out” sentiamo una band strabordante d’energia, più vicina all’amato punk che al “reggae bianco” che li avrebbe resi famosissimi ed unici, mentre in “Don’ t Stand So Close To Me ’ 86” sentiamo un cenno al (già presente ) Sting “post-Police”, più contenuto, compassato e molto carismatico, un riff di chitarra interessante come sempre e, soprattutto, l’effetto dei numerosi litigi tra Sting e Copeland, ovvero la batteria campionata di quest’ultimo, che se era presente alle registrazioni io sono una ballerina classica (i campionamenti d’allora si riconoscevano ben da lontano… ).

In mezzo, però, c’è il paradiso. Un paradiso che passa dalla libidine irrefrenata di “Outlandos D’ Amour”, alla perfezione assoluta di sound di “Regatta De Blanc”, alle follie degli ingiustamente sottovalutati “Zenyatta Mondata” e “Ghost In The Machine” ai perfezionismi “stinghiani” di “Synchronicity”, album simbolo di una storia grandiosa che sta finendo, per lasciare spazio alle belle secchionaggini dello Sting solista, ma con ancora qualche grandissimo passaggio di tom e charleston di Copeland e qualche misurata follia chitarristica di Summer. E tutto è compreso tra il ’78 e l’ ’83, con l’unica eccezione del singolo dell’ ’86. Anche a guardare retrospettivamente la carriera dei Beatles ci si rende conto di quanto, in altre epoche, si potesse dire d’importante in pochissimi anni pieni di buona musica (a Hendrix, per dire, di anni ne son bastati neanche quattro… ).

Inutile, dunque, a mio avviso, esercitarsi nell’arte del classificare l’opera dei Police, sia per l’elevatissima qualità della stessa che per il pochissimo tempo trascorso tra un disco e l’altro. Casomai ogni confronto dovrebbe essere spostato tra l’opera dei Poliziotti e quella di Sting solista, così controversa e capace di vette e cadute. Fatto sta che Sting diventerà un ottimo autore e cantante di professione (con ogni più ampio significato del termine… ), e rimarrà un invidiabile animale da palcoscenico, Andy Summers si dedicherà al jazz, con prodotti sempre di livello, ed alcuni realmente eccellenti, mentre Steward Copeland oscillerà tra colonne sonore, fughe etniche e avventure rischiose, come quella coi “nuovi” Doors, finita allegramente in denuncia.

Cosa potrebbe succedere se i tre si ritrovassero oggi, a 23 anni dallo scioglimento effettivo del gruppo… ? Lasciando da parte ogni conservatorismo nostalgico, io rimango uno di quelli che ci spera, perché ritengo che, di fondo, nessuno dei tre sia invecchiato male, e che una nuova opera dei Police, che tenga conto del mondo, della musica e della società odierne, e di tutto il tempo e l’esperienza passati, sarebbe senz’altro di grande interesse.

La vedrei così: un bellissimo disco autunnale, con grandi accordi lunghi e supereffettati ed assoli della follia di Summers, con uno Sting maturo, più carismatico e meno urlante, e con un Copeland infinitamente meno punk e precisissimo, studiato e meditativo, con quei due legni che volano veloci sul charleston più inimitabile e sul rullante col suono più bello della storia della musica.

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