Smesse le improbabili tuniche bianche che facevano tanto hippies, ma che davano anche un moderato senso d'angoscia, il collettivo di Tim Delaughter si ripropone per questo terzo album in uniforme simil-militare scampato a chissà quale minaccia nucleare o più semplicemente in cerca di una luce guida per illuminare questo buio ventunesimo secolo.
Quante fisse devono avere certi artisti! Non solo. I dodici brani che compongono il disco ripartono numericamente da dove era rimasto il precedente lavoro: per cui il primo brano riporta la scritta section 21, logica prosecuzione di tutta l'opera dei Polyphonic Spree. Vabbè, dopo avervi deliziato con queste amenità che comunque, anche se di contorno, sono parte integrante del cd, passiamo al piatto forte.
Per chi conosce e ha apprezzato le due precedenti fatiche discografiche dell'ensamble statunitense, diciamo a chiare note che la sensazione di un mezzo passaggio a vuoto rimane, ogni qual volta il disco giunge al termine. Le giocose volte musicali, le esplosioni vocali e la parte zuccherosa del progetto, stavolta sono messe in disparte per ripiegare su una più convenzionale forma canzone.
Tim Delaughter deve essersi chiesto se esisteva da qualche parte la via d'uscita all'happening musicale che aveva allestito e gli indicatori che ha trovato lo hanno portato dalle parti di un più canonico indie pop/rock. Ho sentito parlare addirittura di accostamenti con gli Arcade Fire, Flaming Lips o Mercury Rev. Ovvio che certi marchi di fabbrica sono rimasti, come l'uso indiscriminato di ogni sorta di strumento, o come il canto corale, tuttavia leggermente annacquato.
Una cosa è certa: la trasognata ingenuità abbinata alla epica coralità dell'esordio, almeno per ora, è andata smarrita. E' vero, potevano suonare un po' tronfi e megalomani, ma nel contesto contemporaneo erano una voce controcorrente e dividevano. Eccome se dividevano: chi li adorava e chi li detestava. Adesso si sono intruppati nel gran calderone pop-rock e sinceramente nessuno ne sentiva il bisogno. Altrettanto vero è che la proposta musicale non può sempre rimanere impassibile agli eventi e peccare di immobilismo, qualcosa per sopravvivere bisogna pur cambiare. Ecco, il difficile à proprio quello. Cambiare sì, ma cambiare in meglio.
Forza Tim, per il momento non ti abbandoniamo, soprattutto per i dolci ricordi passati, ma se proprio devi continuare su questa strada, allora è meglio ri-indossare le tuniche.
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