Qualcosa è andato storto. Non si spiega altrimenti l’oblio a cui sono stati destinati i POTUSA, l’unico gruppo che ha colorato con energia la mia grigia playlist dei miei grigi pomeriggi anni 90, playlist farcita di disperazione grunge o di furore hardcore. A quei tempi detestavo il power punk da spiaggia, roba tipo Offspring o NOFX. Il punk era una cosa seria, tendenzialmente sporca e tutt’altro che solare. La melodia è un incidente di percorso, il resto è furia e disperazione. Il resto è adolescenza, adolescenza storta. Qui invece, in questo disco, niente di tutto questo, siamo tra adulti. Tre adulti risolti che hanno una manciata di ritornelli fenomenali da farvi sentire. Niente rabbia, niente protesta. Trattasi di party punk, una contraddizione in termini, una declinazione festaiola e vagamente demenziale del genere, qualcosa che a me fa pensare per qualche ragione ai B52, non solo nell’attitudine leggera e scanzonata, nel gusto per incroci vocali perfetti e mai banali, ma anche nella capacità di fornire una interpretazione molto personale del genere, poco in linea con il trend del momento. Il primo album del gruppo esce infatti nel 95 e loro sarebbero pure di Seattle ma, errore fatale, non hanno i capelli lunghi e sporchi, non hanno le camice di flanella e suonano come se il mondo fosse veramente un posto molto divertente in cui vivere. La questione è che non lo fanno utilizzando congas e maracas. Usano un basso con le corde di chitarra ed una chitarra con due corde del basso, entrambe distorti come si deve. Hanno un batterista che viene dai Love Battery, lì sostituito dal futuro batterista dei Mudhoney. Tre è il numero magico, come dicevano i De La Soul. E in tre loro sono una macchina da guerra. Non la disperazione urlata dei Nirvana. Non quella sguaiata e stolta dei Mudhoney (che a ripensarci erano in 4). Non quella sarcastica e psicotica dei primus. Neanche quella stupidotta dei primi Green Day, che pure pestavano. Non c’è disperazione in queste 13 tracce, ed è forse questa la ragione per cui, pur raggiungendo ai tempi una discreta notorietà con “Lump”, video che girava spesso su MTV, in realtà non è rimasta grande memoria di loro. Intelligenti senza essere intellettuali, pesanti nei modi ma leggeri nel tono, tirano 13 sberle perfette sorridendovi divertiti, come la scena della stazione in Amici miei. Insomma, cazzo, se siete in ritardo ad un appuntamento infilatevi in macchina (meglio una dune buggy, ovviamente) e mettete i Presidents of the United States of America a volume adeguato. Io sono sempre arrivato puntuale (anzi in genere con qualche minuto di anticipo). Stesso discorso con il secondo album del gruppo, intitolato ledzeppelinianamente II. Non con i successivi, dove la magia, fatalmente, non si ripete (la magia finisce sempre, non mi vengono in mente eccezioni). Fine. Mi sembra di essere stato conciso, come le loro canzoni.
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