Non sappiamo se è stata la febbre del punk che esplodeva nel 1977 a spingere la giovane Chrissie Hynde a lasciare la sua America per l'Inghilterra. La storia del rock ci insegna che sono stati proprio gli inglesi a dare nuova linfa a quello che gli americani non sapevano neanche di avere. La Hynde fa armi e bagagli e vuole vivere da vicino quel turbinio di musica che risorge descrivendone sul New Musical Express, dove lavora come giornalista, le impressioni a caldo. Ma non si limita solo a scrivere, vuole essere, a suo modo, parte di quel mondo che lentamente va cambiando inglobando altri stili e umori. Così fa il suo esordio una delle innumerevoli band con la cantante che scrive i testi e si muove sinuosa sul palco e il resto dei componenti a fare lo sporco lavoro.
Nasce così nel 1979 "Pretenders" con la Hynde a fare da maitresse, a volte padrona a volte dannatamente dolce e sexy in un modo non scontato. E i suoi scagnozzi (James Honeyman Scott-voce, chitarra, tastiera. Pete Farndon-basso, cori. Martin Chambers-percussioni) fanno davvero un lavoro egregio. In chiave pop la band riesce a creare un concentrato di stili usati con sapienza e conoscenza dei mezzi e, nello stesso tempo, il mood è perfettamente in stile con i suoni del periodo. "Precious" e "The Wait" sono figlie del punk-pop tanto caro a band come Buzzcocks. Per il resto la melodia pop e le trame di chitarre arpeggiate con chorus a manetta prenderanno il sopravvento, uno stile portato avanti da Andy Summer e che sarà il vessillo di Johnny Marr.
"Brass in pocket" è tutt'altra storia. A pieno diritto è una delle hit del periodo, la canzone pop perfetta, che metteresti sù cento volte sul lettore senza stancarti, basso in levare, chitarre e tastiere sfiorate, coretti in falsetto e, su tutto, la Hynde a ergersi regina incontrastata. Ma non manca anche l'omaggio al pop dei 60 con "Stop Your Sobbing" sempre senza calcare la mano, con intenzione e rispetto devoto; Davies la ringrazierà a dovere dandole anche un figlio. Infine come non citare il pop bubblegum di "Kid" o la notturne trame reggae'n'roll di "Private Life".
A trent'anni di distanza un disco che va riscoperto per la sua eleganza, per l'uso sapiente e preparato degli strumenti e per come la materia pop venga trattata come genere di intrattenimento non scontato.
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