Ed eccoli qui, i tre inglesi che dalla fine degli anni '80 ci hanno distrutto i timpani portando la realtà dei Rave londinesi al grande pubblico e con il passare degli anni la loro attitudine punk e l'impronta rock si facevano sempre più presenti. Ed eccoli ora, vent’anni dopo l'inizio della loro ascesa e cinque anni dopo un flop tremendo (“Always”...) escono con il loro quinto album (senza contare i vari ep, selezioni, compilation e best of) che a detta loro avrebbe dovuto riportare ai fan i suoni originali, quelli che li hanno consacrati come imperatori dell'elettronica violenta e "bone-shaking". E, fortunatamente così è stato!

Il trio ci presenta 10 tracce dense di ballabilità, violenza, riff di chitarra potenti, batterie interrotte, forti influenze reggae, rap e qualche piccola stella del panorama musicale alternativo chiamata a collaborare per la buona riuscita del disco (su tutti l'onnipresente Dave Grohl batteria in “Run With The Wolves”). L'album si apre con la title track: un riff ossessivo prepondera per i primi 30 secondi di canzone per poi fondersi con la chitarra che segue un giro simile e la batteria che scandisce il tempo a cui i Prodigy ci avevano abituato, il primo cantato fa partire un riff di tastiera che fa tornare in mente i vecchi tempi. Ottimo inizio e ottima scelta quella di utilizzarlo come primo singolo. Segue a ruota la "tamarrissima" “Omen” (secondo singolo per questo nuovo album) dove i tre ci danno una prova della loro capacità di mescolare una buonissima traccia musicale tutta da ballare con un cantato non proprio dance; altra scelta azzeccata forse un po' troppo truzza ma comunque decisamente godibile. E poi arriva la terza traccia quella che io ho definito il momento nostalgia, “Thunder”, poichè riprende il modo di suonare che abbiamo imparato ad amare in quella canzone che divenne presto un'inno della musica da rave (“Out Of Space”), anche in “Thunder” ritroviamo gli elementi tipici della suddetta: voce tratta, probabilmente, da una canzone reggae; batterie incalzanti e violenti e bassi al limite sopportabile. Tutto quello che serve per ballare. Altra buona prova. Subito dopo parte il synth violentissimo di "Colours" un ottimo pezzo con una buona parte di cantato (come tutto il resto del disco) che, a parer mio, diverrà senza dubbio il terzo singolo di questo album.

La quinta traccia è “Take Me To The Hospital”, della quale i nostri hanno utilizzato il titolo come inno preponderante del loro sito internet ancora quando non si sapeva nulla dell'album in produzione; il pezzo è un concentrato di tastieroni e rap. Bello, mi ricorda “Everybody In The Place” (per il pezzo movimentato) e “Jericho” (per l'intro). Il sesto pezzo è quello che secondo me è il più bello dell'album, “Warriors Dance”, forse il secondo momento nostalgia poiché ricorda moltissimo “No Good”; a parte le auto-citazioni i tre ci portano in mezzo al dancefloor pronti per vedere una battaglia frenetica fatta di passi di danza dove solo i più resistenti (o i più "fatti") arriveranno al fondo di questi 5 minuti e fischia di movimento ininterrotto. “Run With The Wolves”, alla quale partecipa Dave Grohl alla batteria dando prova di essere un artista degno di nota, rappresenta il momento più "Drum'N'Bass" dell'album ma, ahimè, non con risultati troppo sorprendenti anche se mantenendo la media di qualità alla quale i tre ci hanno abituato. Ora è il momento della piccola pecca di questo album, “Omen Reprise”, tentativo di dividere la tamarra “Omen” in due tracce. Scarso ma c'è di peggio. La traccia seguente, “World's On Fire”, ci fa capire che i tre sono pronti a respingere gli invasori. E che non lo faranno lanciando loro caramelle. Il penultimo pezzo, "Piranha", rappresenta il momento più rock dell'album; e devo dire che mi piace molto. Ed infine eccoci all'ultimo pezzo, "Stand Up", che da l'idea di: ehi ragazzi la festa è finita, alzatevi, riprendetevi un secondo e tornatevene a casa. Anche questo pezzo è molto rock e con qualche velatura hip-hop. Molto ben fatto.

In conclusione: Il prodigio è tornato per rompervi i timpani e farvi muovere quei fottuti culi per un bel periodo con 10 tracce che forse non sono altro che un ripescaggio dei suoni tipici della band, per cui niente di innovativo e nemmeno un capolavoro però un disco decisamente godibile. Gli invasori sono morti ed ora quei tre ragazzacci sono pronti a riconquistarci.

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