Tre anni fa si consumava una mesta tragedia in queste pagine virtuali: la mia recensione ben poco entusiastica di The Day is My Enemy dei Prodigy, per gli amici TDIME, perché l'acronimo piace sempre. A distanza sospettosamente breve ritorno su luogo del delitto con questo No Tourists, ultima fatica di Liam Howlett e soci, che non danno minimi segni di cedimento coi loro reiterati tour planetari. D'altronde oramai questo è il loro esclusivo campo di azione, ultimi baluardi delle giovani anime ribelli di San Pietroburgo, almeno considerando il flusso inesorabile di commenti rigorosamente in russo del loro canale YouTube. Ma questa è un'altra storia. No Tourists, dicevamo. Nuovo album con un concept dal sapore dell'editto, ed è lo stesso Liam a spiegarlo: la band ha un suo sound identificativo e non è interessata a uscire troppo dal seminato. Il manifesto proietta anche un sapore vagamente polemico nel disco, che vedremo tra poco. Le mie aspettative, avendo capito l'andazzo con il precedente album, erano praticamente nulle e posso dire di non essere stato smentito, tuttavia l'album è sostanzialmente migliore di TDIME, i brani sono più ispirati e riescono a scrollarsi, anche se non del tutto, quell'alone veramente fastidioso dell'autoparodia.

Questo non significa che sia sparito quel certo senso di deja vu, semplicemente le carte sono state mischiate in modo più intricato, pescando più indietro nel discografia del gruppo: Champions of London riprende lo stesso linguaggio e ritimica di Piranha o Run with the Wolves, Timebomb Zone, che è il brano migliore del disco, è in fin dei conti un'altra variazione di Warrior's Dance, con riferimenti piuttosto pesanti agli N-Joi. Questo giochetto Howlett l'aveva già fatto con Invaders Must Die nel brano World's on Fire, dove citava apertamente Vamp di Outlander. Peccato non sia l'unico nell'universo ad amare la techno rave degli anni novanta, riferimenti così spudorati varcano sempre il confine tra citazionismo reverenziale e rapina a mano armata. Ma tant'è. Si prosegue con l'anarchica singolarità: Light Up the Sky e We Live Forever richiamano addirittura il primo album-capolavoro Experience, ma ci sono riferimenti anche ai synth di Voodoo People da Music for the Jilted Generation. Fight Fire with Fire è una sorta di nuova Diesel Power, un altro momento indovinato grazie anche alla collaborazione con Ho9909. Non tutto scorre come dovrebbe e non mancano momenti di imbarazzo, come nella title track No Tourist, ironicamente l'unico pezzo che tenta qualcosa di nuovo, scivolando però in una discutibile citazione a Closer dei Nine Inch Nails. Probabilmente si è trattato di una spiacevole coincidenza causata da suggestione inconscia (chi non amma alla follia quel brano?), ad ogni modo fossi Trent Reznor una telefonatina la farei.

Need Some1 e Boom Boom Tap sono i brani più deboli mai composti da Howlett in carriera, il primo è insipido e senza una direzione chiara, il secondo gioca con un sample vocale che stimola il tasto skip, e per un album così breve non è un complimento. L'impressione è che, per sfornare nuovo materiale sfruttabile soprattutto in ottica live, il musicista abbia recuperato qualche demo a caso nel suo hard disk. Anche la produzione e il mastering non sono propriamente stellari, specie per un producer notoriamente lento e maniacale come il ragazzo prodigio dell'Essex, la fretta si sente veramente tutta. Resonate sembra una parodia dell'elettronica popolare moderna, soprattutto la dubstep, con i soliti urletti nel beat coi quali sovente il genere si identifica, ma anche qui permane un fastidioso retrogusto da filler track. Finale buono ma non stupefacente con Give me a Signal, dove vediamo un'altra collaborazione, in questo caso con Barns Courtney. Il brano è un po' sconclusionato ma conserva uno spirito punk affascinante, e le abrasive linee acid dell'intramontabile TR-303 richiama vagamente Claustrophobic Sting. Questo in sostanza è No Tourists, un maxi EP camuffato da album e confezionato in fretta e furia per ingrassare la playlist della band in ottica tour, esattamente quello che avevo previsto tre anni fa. Non aspettatevi grosse novità, tantomeno di rimanere a bocca e orecchie aperti. Ciò non toglie che rimanga un disco che si lascia ascoltare, a tratti in grado anche di far muovere parecchio la testa. Insomma assolve il proprio compito. Cerchiamo solo di non dimenticare che è realizzato dalla mente e le mani che hanno rivoluzionato la musica elettronica, la stessa persona che ci ha dato Firestarter.

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