«Con gruppi come i Queers ci fai poco o niente...».

Questo il commento in cui mi sono imbattuto leggendo una vecchia pagina di DeBaser. Per carità di patria, evito di menzionare il solone autore della perla, ma gli dedico cordialmente le tre paroline che aprono «Love Songs For The Retarded»: you suck motherfucker! E mi astengo dal tradurne il significato, peraltro intuibile.

Perché a me non mi toccate i Queers: ché se mai ho covato il dubbio di mutare il nomignolo che mi affibbiarono vent'anni fa, è stato solo per rimpiazzarlo con Granola-Head o Noodlebrain; ché ho comprato prima il loro «Rocket To Russia»», e solo qualche anno dopo l'originale.

E soprattutto non mi toccate «Love Songs ...», sedici brani tiratissimi registrati in nemmeno venti ore tra il 7 e l'8 novembre 1993, sotto l'egida di Ben Weasel e Mass Giorgini per la Lookout Records.

Punk, hardcore e pop, di questo si tratta: e se negli anni ‘70 il punto di riferimento è «Rocket To Russia» e negli anni ‘80 «Milo Goes To College», negli anni ‘90 è tempo di «Love Songs For The Retarded». Ecco chi sono i Queers, un incrocio fatale tra i Ramones ed i Descendents, tra idea melodica pop sixties e ruvida pratica hardcore punk.

Senza scordare che Joe, B-Face e Hugh non vogliono rischiare di passare inosservati, per cui scelgono di chiamarsi «Le Checche», intitolano un brano «Finalmente A Ursula Sono Cresciute Le Tette», un altro «Non Riesco A Smettere Di Scorreggiare», un altro ancora «La Notte Delle Checche Livide» ... e giù accuse di sessismo, omofobia e tutto il desolante campionario del genere. Pari pari la sorte toccata agli analoghi Hard-Ons, pari pari la reazione: un sonoro «Fottetevi!» cantato in faccia a tutti i benpensanti sostenitori del politically correct rocchettaro ed una grassa risata per seppellirli.

Ha poco senso segnalare un brano piuttosto che un altro, ma non posso esimermi dal raccomandare in rapidissima successione «Ursula Finally Has Tits», «Teenage Bonehead», «Fuck This World», «Feeling Groovy», «Debra Jean», «Noodlebrain», «Granola-Head» (la «Pinhead» degli anni ‘90), «I Won't Be» e soprattutto «Daydreaming», perfetti esempi di quella simbiosi tra punk, hardcore, pop e melodia assassina che ha reso i Queers, a dispetto della semplicità, ripetitività ed apparente banalità della proposta, un gruppo da non dimenticare. L'unico difetto è che non attaccano mai con «One, two, three, four», mannaggia a loro.

Nient'altro da dire, se non che l'idiota che con i Queers ci fa poco o niente ero io, sorpreso un anno fa in un momento di alterazione più profonda del solito, per cui mi rigiro ancora una volta il meritato: you suck motherfucker! E metto 5 pallini sperando che Le Checche mi perdonino.

Oh, se mai mi capitasse di denigrare i Ramones, non mi insultate ma dite una preghiera per me.

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