Led Zeppelin e Soundgarden, band che hanno avuto il loro meritato successo e venduto milioni di copie in tutto il mondo, grazie all'indiscusso talento dei musicisti che ne facevano parte e alle qualità di due dei migliori cantanti sulla piazza: Robert (divino) Plant e Christopher J. (altrettanto divino, anche se dal vivo ha sempre lasciato un po' a desiderare) Cornell.
Un casino di gruppi si sono ispirati a questi due mostri sacri e hanno plasmato il loro sound a loro immagine e somiglianza (del resto i Soundgarden derivano direttamente dall'insegnamento dei maestri Plant e Page, si veda solo come è agghindato Cornell sul retro di Louder Than Love, fosse biondo sarebbe uguale a Plant). E' il caso di un gruppo svedese, i The Quill, che continuano a sfornare album di pregevole fattura come questo Hooray! It's A Deathtrip (2003), ma non riescono a guadagnarsi l'attenzione che meriterebbero da parte del pubblico anche se la critica ha avuto sempre buone parole per loro.
Sono quattro scoppiati che rispondono al nome di Christian Carlsson (chitarra), Magnus Ekwall (voce), Jolle Atlagic (batteria) e Robert Triches (basso), ma quando si tratta di suonare dimostrano di possedere veramente gli attributi necessari. Il vocalist, Sig. Ekwall non nasconde la sua simpatia per Rainbow, Led Zeppelin e Soundgarden, e si sente nelle sue corde vocali la paurosa somiglianza con il Sig. Cornell quasi da far gridare al plagio vocale. Gli altri hanno come riferimento tutte le più famose band hard-rock degli ultimi tempi.
Il risultato è un devastante concentrato di tecnica e potenza allo stato puro, giri molto ben costruiti, ritornelli accattivanti e pensati per rimanere subito impressi nella memoria al primo ascolto. Sono furbi i The Quill, molto furbi, a volte cadono nel banale per la struttura delle canzoni, ma anche gli Audioslave non erano l'originalità in persona (strofa, ritornello, strofa, ritornello, assolo, finale). Hanno rapinato tutto il possibile i quattro svedesi, dal rock, al blues, al grunge, alla psichedelica, allo stoner (echi di Kyuss...) per fondere tutto insieme con risultati dignitosi.
"Spinning around" apre l'album e subito si pensa: ma è Cornell? (no...), ma sono i Soundgarden? (no...) e allora chi cazzo sono? Non si sa, non se li caga nessuno, ma cazzo se hanno qualcosa da dire! Un buon giro di chitarra e una sezione ritmica che sfonda i timpani accompagnano Ekwall che la fa da padrone e subito esordisce con una potenza e tonalità notevole. "Nothing Ever Changes", la migliore, alterna parti melodiche a bordate sferzanti di hard-rock con un ritornello vocalmente alle stelle. "Come What May", il singolo estratto, uscito sul sampler di Rocksound, mi ha fatto scoprire il gruppo e mi è scesa una lacrimetta ascoltando la voce di Ekwall pensando di aver trovato il degno successore del mio mito, ormai andato, Chris Cornell.
Bello l'attacco di batteria e il riff di "Too Close To The Sun", pezzo che si avvicina maggiormente alle sonorità Soundgarden e che non avrebbe sfigurato in "Superunknown". Lode a tutti e quattro per quello che fanno in questra traccia. Forse, ripensandoci bene, è questo il pezzo migliore del disco. Un po' di respiro con echi psichedelici e orientaleggianti zeppeliniani in "Handful Of Flies", per poi ripartire con riff granitico sabbathiano di "American Powder". Ekwall, a mio avviso, dimostra più intelligenza di Cornell, usa la sua voce al meglio senza esagerare e spingere al limite, cosa che è costata le corde al povero Chris.
"Hammerhead", con il suo intro di chitarra classica, riporta alla mente paurosamente i Led Zeppelin, mentre "Giver" è un'elogio alle chitarre ribassate e al riff granitico, nella parte centrale il tempo cambia, tutto si addolcisce per poi esplodere ancora nel finale. "Man Posed", lento incedere di chitarre distorte in sottofondo, echi di tastiere e voce megafonata, ricorda un po' nelle sonorità "Wake Up" dei meravigliosi Mad Season, ma il finale cresce ed esplode, con Ekwall che spacca i timpani e Carlsson che piazza un buonissimo assolo di chitarra, anche se poi, nel finale, sembrano i Guns di "Civil War".
"Because I'm God" non si distacca molto dalla filosofia del gruppo, mentre "Control" chiude il tutto con toni lievi, chitarra (grande il riff) e voce (modulata egregiamente) con entrata posticipata di batteria e basso, a voler dire "Cazzo ragazzi, niente ballate dall'inizio alla fine, è meglio se qui ci diamo una controllata". Chiusura magistrale per un album che non ha riscosso il meritato successo. Se fosse uscito nel periodo di maggior splendore del grunge avrebbe sbancato...
Peccato...
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