Difficile immaginare all'epoca dell'uscita di "No New York" (1978) che, in mezzo a quella paludaccia di suoni malati, si potessero nascondere dei veri talenti. Invece, alcuni reduci di quelle sedute sorpresero tutti inventandosi, in seguito, spericolati ma ben assortiti incroci tra quel loro strabico linguaggio e ripescaggi della tradizione americana.

I Raybeats, (con dentro due ex Contortions - e sarebbero stati tre se George Scott III, non fosse morto d'eroina), ad esempio si tuffarono con successo su certa musica leggera strumentale (surf, cocktail music ed affini) in voga 20 anni prima, innestandovi un po'di quel veleno praticato nella band d'origine. Veleno si, ma con moderazione ed in sintonia coi tempi: quando nell'81 usci "Guitar Beat", il clima nuovayorkese era alquanto cambiato e l'intellettualismo bohemien di cui la compilation madre faceva da tetro sottofondo, ormai soppiantato da una certa qual diffusa volontà di sollazzo. Lo si capisce già dalla copertina: basta coi visi cadaverici dell'enciclopedia negativa e spazio a 4 sorridenti giovanotti, immortalati sulla spiaggia a scimmiottare i gruppi del periodo "Sun fun and surf". Alla consolle poi, al posto dell'ascetico Brian Eno, nientemeno che Martin Rushent, edonista puro e reinventore degli Human League di "Dare!" , discuccio da 5 milioni di copie.

Il lavoro (dagli autori diviso, per ridere, in un lato "Apatico, macchiato e rovinoso" ed un altro "Coraggioso, pulito e rispettoso") risulta comunque tutt'altro che stupido e commercialotto. Vero è che il virtuoso Jody Harris gestisce la sua chitarrina con inedito garbo e ruffiano riverbero alla Shadows ma senza rinunciare ad infilare qua e là qualche accordo malvagio. Non si nega neppure che i temi siano tutti cantabili e rispettosi della tonalità, ma Pat Irwin (multistrumentista già con Lydia Lunch), quando li soffia nel saxofono, lo fa con quella foga che ricorda le bands R&B più debosciate. La pulsazione ritmica rimane infine quella inconfondibilmente isterica dei Contortions con Danny Amis al basso che clona letteralmente suono legnoso e riffare anfetaminico del defunto G.Scott mentre Don Christensen mantiene, con tecnica evoluta, il drumming secco ed affilato dei tempi d'oro.

Insomma, questi suoni meticci scorrono via che è una bellezza ("Piranha Salad" su tutte: perfetto crossover fra Contortions e B 52-s') e senza l'odor di muffa di certo revival ciclostilato che ammorberà l'aria d'oltreoceano per parte degli '80. Intelligenti, ironici e dimenticatissimi i Raybeats si lasciano dietro con "Guitar Beat" un altro frammentino, non epocale ma prezioso, a dimostrare che la "No Wave", nella storia del rock, un posto se lo merita tutto.

Carico i commenti...  con calma